A
fine dicembre del
2018 è uscito il Vol.5 della rivista COSTRUTTIVISMI. Un
numero interessante e pensato per attivare un confronto fra vari
approcci psicoterapeutici a partire dalla sintesi della trascrizione
di un primo colloquio. Il
nostro direttore Gianmarco Manfrida è stato fra gli psicoterapeuti
che hanno partecipato a questa bella iniziativa nell’offrire una
esemplificazione del caso clinico presentato. Nello specifico il
nostro direttore
ha offerto una prospettiva relazionale sistemica.Una
bella idea per stimolare il confronto e la riflessione sulla
complessità che la psicoterapia ci
offre,
attraverso i suoi molteplici approcci e modi di lavorare con
l’individuo.
“È
chee... ehh... doopoo, ora sono quasi due anni che sto col mio
fidanzato. Ee diciamo che non ho molta voglia dii fare l’amore,
però è una cosa che, nel senso, io sono sempre stata così... Il
mio problema è che dopo mi arrabbio tantissimo. Probabilmente non
con lui però tipo con me stessa quando tipo ci prova. Gli tengo il
muso, però questa è una cosa che ho notato che comunque ce l’avevo
anche quando ero più piccina, cioè mi ricordo anche delle scene con
i miei genitori, che se combinavo qualcosa, poi dopo mi arrabbiavo,
perché, non lo so perché, perché mi dispiaceva comunque di averlo
fatto. Cioè me la rifaccio con l’altra persona ee poi non so se
questa cosa del mio fidanzato è legata magari a qualcosa che mi è
successa quando ero piccina, perché c’era praticamente un ragazzo
che viveva qualche portone più in là nella mia via, che aveva sette
o otto anni più di me, questo ai tempi che io facevo le elementari,
che praticamente veniva a casa mia con la scusa di cercare mio
fratello, mio fratello non c’era, allora stava lì con me, ee
praticamente va beh, mi diceva si gioca a babbo e mamma? Ee, insomma
c’è stata un po’ questa cosa, anche che magari mi sentivo
costretta a fare. Però non so, son tutte cose chee, ioo penso di
ricollegarle a questo, però se poi penso che comunque anche quando
ero piccina, c’avevo comunque questo carattere qui, questo modo di
comportarmi, uhm, non so, probabilmente non è una cosa legata a
quella, non lo so, non lo so proprio. Succedono queste cose, che
comunque il mio comportamento fa star male sia me che lui. E lui c’ha
tanta pazienza, proprio tanta. Io son stata fidanzata tipo tre volte,
m’ha sempre fatto così questa cosa. Però per dire, con il primo
ero piccolina, avevo quindici anni, ee, ora ce n’ho ventinove, ee,
con lui ecco, non mi riusciva dirgli di no, stavo zitta, però poi
era una cosa che faceva male a me; cioè, mi ritrovavo magari a
piangere da sola, aa non rispondergli e non fargli vedere comunque
che stavo male; ora invece, insomma, riesco a dire no. Son
tranquillissima, non è chee, c’è qualcosa che mi dà fastidioo, è
proprio quando so che deve succedere, che sta per succedere, mii, mi
dà fastidio, cioè mii...
Ha
pensato ora di fare una psicoterapia, perché?
E,
allora, io, quando ero piccolina andavo già, da uno psicologo che mi
ci portavano i miei genitori, però ecco, e mi portavano per quel
fatto che mi era successo di questo ragazzo. L’hanno saputo perché
io l’ho raccontato a una bambina in classe, la bambina l’ha detto
alla mamma, e la mamma l’ha detto alla maestra, e la maestra l’ha
detto alla mia mamma. Avevo, dieci anni. Mi hanno portato da questo
psicologo, però, ecco, come mi entrava nell’argomento io non
aprivo bocca, poi a distanza di anni la cosa che mi ha fatto venir
qui è che... cioè che poi passo veramente, anche una settimana
intera, che si sta nella stessa casa e che io tengo il muso.
Durante
il rapporto riesce a trovare piacere, ad arrivare in fondo?
Sì,
sì, sì, per quello noo, è proprio il, il prima di, di iniziare,
cioè, boh, mi fa fatica, mi fa, non lo so. Quando lui inizia, eh, io
non, eh, gli dico sempre di no, cioè, non, boh, non lo so perché.
Eh lui mi dice, «fosse per me, se fosse una cosa di cui io non
avessi bisogno, per me si potrebbe anche non fare», cioè, eh, però,
ioo (sospiro) provo rabbia e dopo mi sento in colpa, per avergli
detto di no. E quando gli dico di no... è no.
E
quando invece è un no/sì?
Allora
per dire, è successo due volte, l’ultima volta ieri, che, che
comunque mi dispiaceva ehh, l’ho fatto, però, uhm è come se
avesse fatto tutto da solo, perché, perché non avevo voglia eh, e
poi però, per dire a metà mi scappa da piangere, e allora lui se
n’è un pochino accorto, pff, e mi ha detto «stai piangendo?»,
«no, no», no, eh, e va beh, lui ha continuato, e però io, cioè
son rimasta, cioè, però è una cosa che mi fa male.
Rispetto
a iniziare una psicoterapia lei che cosa si aspetta?
Uhm,
non lo so. No, proprio, eh... cioè, io, mi aspetto di smus... mi
aspetto di, almeno smussare un pochino questa parte del carattere.
Comunque mi arrabbio per, per cose che cioè, non dovrei perché, per
esempio: ero piccolina, ma non so, avrò fatto le elementari, ora non
mi ricordo quanti anni avevo, però, ero con la mia mamma a cercar
funghi, eee, e la mamma era giù, accovacciata che prendeva funghi,
ee io giocavo con questo bastoncino e gliel’ho battuto nella testa,
non facendolo apposta ovviamente, e la mamma mi fa: «Laura, mi fai
male!», e io, che ho fatto? mi sono arrabbiata e gli ho rotto tutti
i funghi, cioè, perché? Questa è una cosa che mi ci rivedo anche
ora, perché sono così. Quella volta ci sono rimasta male di avergli
fatto male, cioè non gli avevo fatto male, però ci sono rimasta
male e mi sono arrabbiata con lei, cioè mi dovevo sfogare questa
cosa.
Quindi
la rabbia, si scatena quando...?
Quando
l’altra persona mi dice, mi fa notare che ho fatto magari una cosa
negativa, una cosa che fa male all’altra persona, e io m’arrabbio.
Poi dopo mi rendo conto e chiedo scusa, però chiedere scusa io tipo
ho iniziato ora, prima io non chiedevo scusa mai. Ho iniziato ora con
Sandro, il mio fidanzato. Prima, magari, lì per lì lo sentivo
giusto, era una cosa che non mi rendevo nemmeno conto, cioè mi viene
così, cioè non mi riesce trattenerla, e poi dopo mi rendo conto,
però prima, anche se mi rendevo conto, rimanevo su quella linea lì.
Ora mi rendo conto che, che, faccio questo perché mi sento in colpa,
cioè, eh non lo so, è una cosa strana... e mi chiedo perché
continuo a farlo. Vorrei almeno limitarmi, cioè, cercare di
limitarlo un pochino, cioè che per me sarebbe anche tanto.
Tornando
su una cosa che le avevo chiesto... Perché in questo momento? Lei
convive, mi ha detto da due anni... e... questo problema si è
presentato anche da prima della convivenza?
Sì
C’è
stato un qualche cosa di particolare, che ora l’ha portata a
pensare di chiedere un aiuto?
Ehh,
sì, perché probabilmente il ragazzo che ci sto ora per me è più
importante dii, di, boh, di, rispetto agli altri, gli altri rapporti
che ho avuto, cioè, non son niente in confronto a quello che c’è
con lui e quindi per me è una cosa importante, comunque, ee, cioè
vivere serenamente ee, essere tranquilla io e far stare tranquillo
lui, ee.
Ma
mi chiedevo, visto che state insieme da diverso tempo. Perché ora e
non, per esempio, un anno fa?
Eh,
perché, perché ora, perché mi son ritrovata tante volte, eee, ehf,
boh, a piangere, mi son ritrovata a piangere, a nascon..., cioè per
non farlo vedere a lui, perché sennò magari lo facevo stare ancora
più male, e però, no, non ce la posso far più, non ce la posso più
fare; anche ieri, per dire ieri, ho pianto, ho pianto tutto il
giorno, ho pianto dalla sera, la notte ho dormito, e poi la mattina
ho ricominciato a piangere. L’altra sera siamo andati a cena e si è
iniziato a parlare di questa cosa, dei bambini, ee lui diceva, «no,
ma tee, non hai paura di avere un bambino?» No, assolutamente, cioè,
io, zero. Se ne era già parlato di questa cosa, si era deciso di
averlo, però magari, tra un po’ di tempo, quando si è sistemato
tutto. Cioè poi magari le paure ti vengono però paure normali,
insomma. E lui, a proposito del discorso mi diceva «ma te non hai
paura? Ti immagini se poi, dopo quando arrivi a farlo dici, no, non
lo voglio più, lo do in adozione». Io dicevo «no, non ho paura,
beh se hai paura te, se si dovesse arrivare al punto che poi mi dici
non lo voglio, eh, mi dispiacerebbe tantissimo, io il bambino lo
terrei, se tu non lo vuoi mi dispiace, però... Quello che mi fa
paura è che te, alla fine, sì, hai detto che un bambino lo vuoi,
però, tutte le volte che ne parli, pensi alle cose negative. Non mi
hai mai detto, “penso una cosa positiva all’idea di averlo...”»
E lui mi ha detto «su questo hai ragione». E io ci son rimasta
male, perché magari, boh, mi aspettavo un’altra risposta, mi
aspettavo che mi dicesse «no, macché stati tranquilla, perché
magari ora non è il momento, però...» e invece non mi son
sentita... Insomma poi, magari, gli volevo parlare anche di questa
cosa, però, sentirmi dire così mi ha bloccato e io, ora, non gliene
parlerò mai.
Rispetto
a questo suo problema nei confronti dei rapporti sessuali lui come si
pone?
No,
no, lui è, lui è, è pazien..., cioè è tranquillo. No, no, eh, mi
ha sempre assecondato, mi ha sempre detto «non ti preoccupare»,
poi, è logico che arrivato a un certo punto, eh, tipo due settimane
fa, m’ha chiesto «ma sono io il problema? Che c’è che non va?
Ma ti piacerebbe farlo in un altro modo? Ti piacerebbe farlo in un
altro posto?» però per me non è questo, cioè, non è che c’ho
la fantasia di far... cioè, ecco lui mi ha chiesto queste cose qui,
ee, basta, il massimo che ha fatto, ecco, poi, è parecchio paziente.
Ne
avete parlato insieme dell’ipotesi della psicoterapia?
Ee
sì, gli ho detto «eh, ho bisogno di andare», «macché! Tu stai a
guardare queste cose?» Allora da lì ho iniziato a parlargli, ho
detto «però, secondo me, ne avrei bisogno, perché boh,
probabilmente questa mia cosa è anche legata al passato, però non
lo so, perché anche quando ero piccina ero così» ee, e lui m’ha
detto «l’importante è che tu non ti senta malata, perché cioè,
nel senso, non ti devi sentire..», no, io non è che mi sento
malata, però mi sento che c’ho un qualcosa che, devo cambiare,
migliorare, devo, fare diversamente, perché non sto bene, in questo
periodo io non sto bene, e allora niente. “
“Laura
presenta un problema di approccio al sesso legato a un disturbo di
personalità dipendente, per il quale si rilevano indici diagnostici
sia nelle poche informazioni sulla storia personale e familiare sia
nella relazione che stabilisce con il terapeuta. Fattori che hanno
indotto la richiesta di terapia è il particolare momento del ciclo
di vita che attraversa con il suo convivente, e le difficoltà che ne
conseguono e potrebbero far interrompere la loro relazione. Vengono
prospettate aree di possibile indagine e approfondimento nella storia
personale di Laura ma anche nelle relazioni coi genitori, e
difficoltà e occasioni di cambiamento che si possono profilare nel
processo terapeutico. Inoltre, si potrebbe considerare la possibilità
di far venire una volta anche Sandro - il compagno - a un incontro
con lei dal terapeuta.
Qual
è il problema presentato da Laura e, se il tuo approccio prevede
questa differenziazione, quale la “domanda” posta al terapeuta?
Laura
presenta un problema di approccio al sesso che mette in discussione
in questo momento lo sviluppo del rapporto nella direzione di una
famiglia; sottostante pare presente un disturbo di personalità
dipendente con una scissione tra desiderio di essere compiacente per
sentirsi amabile e accettata e rabbia a sentirsi comandata e
controllata, anche nel sesso. Un tipo di disturbo di personalità che
ha le radici in una modalità di attaccamento insicuro ambivalente,
secondo i modelli della teoria dell’attaccamento. Nella prospettiva
del Ciclo Vitale della Famiglia, Laura e Sandro si trovano in un
momento di evoluzione verso le prime tappe di costituzione di una
famiglia, congruo con l’età, il livello sociale e le risorse
lavorative dei due. I lavori di Haley hanno introdotto un cambiamento
significativo nel modo di considerare i movimenti di passaggio della
famiglia da uno stadio all’altro. Secondo lui, infatti, tale
passaggio non è affatto naturale, ma implica tutta una serie di
compiti evolutivi che non sempre la famiglia riesce ad affrontare.
Haley ritiene che lo stress familiare è più intenso nelle fasi di
transizione da uno stadio all’altro del processo evolutivo della
famiglia e ipotizza che i sintomi patologici compaiono più
facilmente in occasione di interruzioni o distorsioni nell’evoluzione
del ciclo di vita. Il problema sessuale interferisce assai con le
possibilità e i desideri di sviluppo della relazione e viene
identificato da Laura come il punto di emergenza e di occultamento di
ogni altro dubbio e problema di attaccamento.
Quali
ritieni che siano le aspettative di Laura rispetto alla psicoterapia?
Riterresti opportuno favorire una ridefinizione di tali aspettative?
Come
dice Laura, coerentemente con il suo aspetto di scissione di
personalità dipendente, vorrebbe “smussare un pochino” quella
parte di carattere per cui non solo non riesce ad acconsentire alle
richieste altrui, ma poi sviluppa sensi di colpa (con probabili paure
di abbandono) a cui reagisce con rabbia e aggressività che
mantengono le distanze preservando una identità debole. Non può
permettersi di affidarsi nel rapporto sessuale, anche se le sue
disavventure non hanno lasciato segni nella capacità di provare
piacere, ma sentendosi in difetto e quindi a rischio di non essere
più amata e voluta si riprende le distanze che potrebbe perdere,
difendendosi dal timore di accondiscendere. L’episodio a 10 anni
l’ha vista accondiscendere, poi sentirsi in colpa, poi denunciare
l’accaduto; è stato il momento in cui la scissione già presente
si è collegata al sesso. Infatti, già prima nell’episodio dei
funghi con la madre si vede come un atto di ribellione a cui segue un
rimprovero suscita una reazione non di depressione ma di rabbia e di
controparadossale affermazione della propria autonomia contro gli
altri. Laura si difende dal rischio di essere fagocitata dagli altri
attraverso i sensi di colpa, indotti da loro o sviluppati da lei
stessa per timore dell’abbandono: una rabbia aggressiva
controfobica. L‘atteggiamento del ragazzo che si dice “Purtroppo”
non disponibile (“Eh lui mi dice, «fosse per me, se fosse una cosa
di cui io non avessi bisogno, per me si potrebbe anche non fare»”)
non rassicura Laura, anzi la fa sentire ancora meno voluta e la
spinge a sentirsi in colpa, da cui poi la rabbia che le consente di
dire spesso di no e di non fare marcia indietro. Non è quello che
realmente vorrebbe ma è un modo di salvaguardare un briciolo di
identità autonoma. Certamente la domanda di Laura va ridefinita, in
modo da affrontare non soltanto l’emergenza sessuale del problema,
ma il disturbo di personalità dipendente sottostante e la scissione
che esso comporta tra aspetti di infantile ricerca di adozione e di
rabbiosa protesta ribelle (Cancrini, 2017; Benjamin, 1999; 2004);
tuttavia credo che la ridefinizione vada fatta non subito ma dopo
alcune sedute che abbiano consentito di contenere il sintomo ansioso
se non quello sessuale, di stabilire un rapporto capace di dare
sicurezza a Laura, di raccogliere elementi della storia personale e
del contesto attuale che rendano possibile una proposta di terapia
plausibile ed accettabile. In un approccio narrativo costruzionista
sociale, prima di costruire una nuova storia occorre decostruire
quella vecchia, e questo implica un lavoro dettagliato sul passato,
alla ricerca di elementi discrepanti dalla realtà banale presentata
dal paziente e confermatagli dagli altri significativi. Segue poi la
proposta di una nuova storia plausibile, convincente ed esteticamente
valida (Manfrida, 2014).
Secondo
il tuo modello, quali ipotesi iniziali puoi fare rispetto
all’inquadramento professionale del caso e perché?
Ci
sono poche notizie sulla composizione della famiglia e sui rapporti
all’interno di questa, potrei ipotizzare che Laura sia una bambina
trascurata nella crescita, forse a favore di qualche fratello maschio
più gratificante per i genitori o di qualche sorella più brillante
e apprezzata. Per questo non è riuscita a rifiutare l’offerta di
complicità di un ragazzo più grande di lei, per questo unisce la
rabbia al desiderio di sentirsi voluta. Della madre si sa solo che
prima è oggetto di manifestazioni aggressive da parte di Laura
bambina, poi che non protegge Laura ammettendo estranei in casa
mentre è sola; di fronte al racconto dei giochi sessuali con il
ragazzo più grande infine delega la gestione del problema alla
psicologa, senza rassicurare direttamente Laura sul fatto che quanto
accaduto non mette in discussione la sua posizione in famiglia né la
rende una figlia cattiva. Questo atteggiamento di scarsa tutela e
protezione, che già dava luogo in Laura a vissuti di esser
trascurata e conseguentemente a una scissione tra sensi di colpa e
aggressività, culmina con l’occasione dell’abuso e genera una
forte rabbia negata di Laura nei confronti dei familiari. Penserei
quindi a un disturbo d’ansia con aggressività reattiva strutturato
su un disturbo di personalità dipendente, nel quale sensi di colpa,
tentativi seduttivi e ricerche di adozione si alternano con
atteggiamenti aggressivi e sfoghi rabbiosi. Probabilmente l’idea di
avere un figlio, che non suscita in Sandro eccessivo entusiasmo,
rende ora necessario un miglior controllo del comportamento per non
incrinare la relazione; questo ha reso Laura più cosciente delle sue
reazioni emotive e l’ha costretta a imparare a chiedere scusa per
non correre il rischio di una rottura del rapporto, reagendo ai sensi
di colpa attraverso una ricerca di conferma adottiva invece che con
esplosioni di rabbia e “musi”. Prova ne è il discorso sul volere
figli: “Hai
detto che un bambino lo vuoi, però, tutte le volte che ne parli,
pensi alle cose negative. Non mi hai mai detto, “penso una cosa
positiva all’idea di averlo...”
E lui mi ha detto «su
questo hai ragione».
Come
immagini che la paziente possa porsi nella relazione terapeutica,
quale tipo di relazione pensi sia auspicabile cercare di costruire e
quali difficoltà potrebbero insorgere?
È
probabile che vi sia un tentativo seduttivo di ricerca di adozione,
con atteggiamenti infantili già evidenti nel modo di parlare nella
prima seduta, stando alla trascrizione: a ogni parola sembra che
Laura si ponga il dubbio di dire la cosa giusta per compiacere lo
psicoterapeuta (esita, bamboleggia, si esprime in modo infantile). Si
presenta sempre come vittima o come potenziale bomba esplosiva,
secondo gli estremi della sua scissione di personalità. È facile
prevedere che anche verso il terapeuta, se questi cercherà di
indirizzarla troppo apertamente o in modo troppo direttivo,
manifesterà rabbia oppositiva, metterà il muso, manterrà una
paralisi operativa. Come nel rapporto sessuale, occasione minacciosa
di essere dominata e posseduta da altri, potrà vedere negli
interventi del terapeuta un potenziale controllo, a cui seguirà
senso di colpa per non collaborare abbastanza in terapia e infine
rabbia per sentirsi più che mai posseduta da altri. Occorre non
avere troppa fretta, raccogliere molte informazioni di contesto senza
esprimere giudizi e se mai assolvendola dai sensi di colpa per i
vissuti aggressivi, cercare di valorizzare le cose positive
eventualmente fatte da Laura, confermare gli elementi che possono
potenziare la sua bassa autostima senza però passarle il messaggio
diretto che è perfettamente adeguata a stare in piedi da sola, che
la farebbe sentire abbandonata dal terapeuta e a rischio di essere
mollata da tutti.
Quali
contenuti ti proporresti di approfondire negli incontri
immediatamente successivi al primo colloquio?
Mancano
informazioni che consentano di valutare il grado di autonomia
personale di Laura, scopriamo che ha 29 anni ma non si sa se lavora,
se ha una autonomia economica, che studi ha fatto, se ha amiche, come
è composta la sua famiglia, se convive col ragazzo e con i suoi o da
sola, di chi è la casa (in affitto, di proprietà, sua, dei suoi,
del ragazzo, della famiglia di questi…) e se è collocata accanto a
una delle famiglie di origine, che rapporti ha con il padre e la
madre, quali sono i rapporti con la famiglia del ragazzo, se ci sono
nella sua storia delle realizzazioni o degli episodi di cui è fiera
oltre a quelli di cui si vergogna. Manca un’immagine fisica di
Laura. Potrebbe essere sovrappeso, cercando di colmare le sue carenze
affettive con i dolci; potrebbe avere un atteggiamento seduttivo un
po' infantile, inadeguato per la sua età; potrebbe al contrario aver
trovato sicurezza nel luogo di lavoro e presentarsi vestita in modo
adeguato alla sua attività. Potrebbe essere interessante sapere
qualcosa dei suoi precedenti fidanzamenti. Come si sono chiusi? Per
iniziativa di chi? Potrebbero aver incrementato le sue paure di
abbandono…e la sua rabbia difensiva di fronte alla paura di
soffrire per gli abbandoni.
Su
quali aspetti ritieni sarebbe necessario lavorare durante il processo
terapeutico e come pensi che questo potrebbe svilupparsi nel corso
del tempo?
Sarebbe
necessario lavorare prima di tutto sui sensi di colpa e sulla rabbia,
capace di pregiudicare le relazioni affettive e i rapporti sociali;
poi, quando si fossero ottenuti miglioramenti su questi piani, si
potrebbe proporre un lavoro sulla personalità, di cui la stessa
Laura implicitamente sente di avere bisogno “io non è che mi sento
malata, però mi sento che c’ho un qualcosa che, devo cambiare,
migliorare, devo, fare diversamente, perché non sto bene” ma che
adesso difficilmente sarebbe in condizioni di sostenere per eccessiva
fragilità e per la presenza di un problema di evoluzione di rapporto
verso la famiglia più immediato. Il successo in un lavoro seppur
parziale sul sintomo ansiogeno indotto da sensi di colpa e rabbia
potrebbe consentire in qualche mese di sviluppare un rapporto con il
terapeuta capace di sostenere poi un lavoro più approfondito sulla
personalità. Naturalmente sarebbe indispensabile ricondurre tutte le
reazioni di ricerca di adozione dal terapeuta o di rabbia elusiva
verso il medesimo al significato relazionale di dipendenza-fuga
tipico del disturbo di personalità dipendente (Ugazio, 2012).
Riconoscendo queste modalità relazionali nel rapporto terapeutico
Laura potrà poi arrivare a ricomporre, almeno in gran parte, la
scissione che si porta dentro. Dopo i primi incontri, potrei
considerare la possibilità di proporre a Laura di venire qualche
volta con Sandro, perché lei ha dichiarato un tabù sull’argomento
figli, indotto dal timore che il compagno possa non solo rifiutarli
ma mollare anche lei per non averne: “Insomma poi, magari, gli
volevo parlare anche di questa cosa, però, sentirmi dire così mi ha
bloccato e io, ora, non gliene parlerò mai”. È evidente che
l’argomento è difficile da evitare e che è strettamente in
rapporto al tema dei rapporti sessuali, quindi potenzialmente fonte
di altri contrasti, musi e rifiuti se non viene affrontato
congiuntamente. Non proporrei immediatamente una terapia di coppia,
ma vedendo Sandro e Laura insieme una volta o due dopo che si fosse
stabilizzato il rapporto con Laura potrei aiutarli ad affrontare la
questione e, se si trovano in difficoltà, indirizzarli da qualcuno
per una terapia di coppia, affiancata al lavoro sulla personalità
con Laura.”
Riferimenti bibliografici:
Benjamin, L. S. (2004). Terapia ricostruttiva interpersonale. Promuovere il cambiamento in
coloro che non reagiscono. Roma: Editrice LAS.
Benjamin, L. S. (1999). Diagnosi interpersonale e trattamento dei disturbi di personalità.
Roma: Editrice LAS.
Cancrini, L. (2017). Ascoltare i bambini. Psicoterapia delle infanzie negate. Milano: Raffaello
Cortina.
Cirillo, S., Selvini, M., Sorrentino, A. M. (2016). Entrare in terapia. Le sette porte della
terapia sistemica. Milano: Raffaello Cortina.
Haley, J. (1963). Strategies of psychotherapy. New York: Grune & Stratton. (trad. it. Le
strategie della psicoterapia. Sansoni: Firenze, 1977)
Manfrida, G. (2014). La narrazione psicoterapeutica. Invenzione, persuasione e tecniche
retoriche in terapia relazionale (3a ed.). Milano: FrancoAngeli.
Ugazio, V. (2012). Storie permesse, storie proibite. Polarità semantiche familiari e
psicopatologie. Torino: Bollati Boringhieri