a cura di Barbara Bertelli, didatta CSAPR
Gli effetti della
diffusione del COVID-19 sulla collettività richiamano per
associazione quelli del trauma.
Un simile confronto offre
numerosi spunti di riflessione: dal tentativo di individuare i punti
di contatto e quelli di divergenza tra i due fenomeni, ai meccanismi
di difesa che entrano in gioco a seconda dei casi...
Forse a causa di un
comprensibile "bisogno di consolazione" la memoria mi è
corsa in soccorso, selezionando un'informazione "salvagente",
datata, ma attuale ed utile.
In Guarire dal trauma
J. L. Herman (1992) ripercorre la storia singolare degli studi sul
trauma psichico e cita A. Kardiner, H. Spiegel, R. Grinker, J.
Spiegel, psichiatri americani alle prese con le nevrosi da
combattimento dei veterani di guerra. Nel 1947, Kardiner e colleghi
sostennero che "la più forte protezione contro un terrore
soverchiante era il grado di relazione tra il soldato, la sua diretta
unità di combattimento e il loro leader".
La realtà bellica
precede e conferma la realtà empirica: in situazioni di incertezza,
in cui mancano punti di riferimento precisi e strutturati,
l'individuo si sente perso e subisce più facilmente l'influenza
degli altri (Sherif, 1967). I membri del gruppo gli forniscono le
informazioni e gli elementi che gli consentono di avere delle
coordinate entro cui agire ed interagire in un territorio poco
conosciuto, radicandosi a delle certezze che, appunto perché frutto
della condivisione e della negoziazione, sono motivo di
rassicurazione.
In altre parole, quando
una persona prova un sentimento di incertezza o di dubbio (che la
realtà dominante era smarrita!), condividere il
comportamento con altri la aiuta a costruirsi una visione stabile del
mondo circostante. Tanto più la situazione in cui l'individuo si
trova è ambigua e precaria tanto più egli ha bisogno di un
ancoraggio sicuro, di un supporto sociale.
Si inserisce in questa
ottica anche la teorizzazione di Tajfel (1978) rispetto alla
categorizzazione sociale che egli definisce come "un sistema
di orientamento che, ordinando l'ambiente sociale secondo
raggruppamenti di persone, definisce lo specifico posto che ognuno
occupa nella società". Tutte le strade portano a Berger e
Luckmann e alla loro realtà come costruzione sociale.
Ma torniamo ai nostri
commilitoni e agli studi sul trauma: la situazione di pericolo
costante conduceva i soldati a sviluppare un'estrema dipendenza
emotiva dal gruppo dei commilitoni e dal leader.
Se è intuitivo che il
legame tra commilitoni abbia funzionato come rete di salvataggio,
colpisce l'enfasi posta sulla relazione solidale tra commilitoni e
leader.
Inevitabile la
trasposizione - per lo meno in veste ipotetica - di quanto verificato
sui campi di battaglia in contesti relazionali a noi più familiari e
drammaticamente sollecitati nei giorni di pandemia: figli e genitore,
popolo e istituzioni (politiche e mediche), pazienti e terapeuta...
Ultima riflessione: il
COVID-2019 ha compromesso la consueta possibilità di scambi
interpersonali, ma ha favorito il ricorso a quelli web-mediati.
L'online diventa una valida risorsa, uno strumento
indispensabile per mantenere e, se possibile, rinsaldare quel legame
umano che rappresenta la più sicura protezione contro il crollo
emotivo personale.
In sostanza: facere de
necessitate virtutem... per lo meno fino al tanto atteso:
"Rompete le righe!!"