a cura di Claudia Innocenti, Psicologa e Psicoterapeuta
“L'amore al suo meglio non fa che ripetersi.”
Scelsi questo libro, come spesso mi capita, attratta dal titolo e dalla copertina, un cervo col corpo proteso in avanti ma voltato indietro fermo su delle strisce pedonali, sullo sfondo una una strada sfocata. Nonostante le recensioni entusiastiche del gruppo di lettori che seguo, decisi di non voler minimamente capire di cosa parlasse, per scoprirlo da sola. É la storia di Little Dog, di sua madre Rose e di sua nonna Lan. Tre soldati che combattono una guerra che parte da lontano, in Vietnam, dove una giovanissima Lan partorisce una figlia nata da uno stupro da parte di un soldato, dopo essere scappata da un matrimonio combinato ed essersi concessa una sorta di rinascita decidendo di chiamarsi Lan, che è il nome di un fiore, facendo poi la stessa cosa anche per la figlia. Rose che cresce in un Vietnam distrutto, con una madre che per camparla deve prostituirsi ed è affetta da schizofrenia, decide dopo aver perso un figlio in maniera devastante, una volta che Little Dog è più grande, di seguire il grande sogno americano e darsi una nuova possibilità.
Questo libro è una lettera che l'autore scrive alla madre per spiegargli com'è riuscito finalmente a diventare uno scrittore e ad accettare la sua vera identità, ma è anche una storia della loro memoria, di cosa vuol dire essere combattenti ed avercela fatta, nonostante le ferite ancora aperte. É un testamento di amore verso queste due donne, Lan che lo ha sempre protetto raccontandogli storie e mettendosi tra lui e rose quando lei scattava picchiandolo con qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, o di come quando lui nasce decide di dargli il nomignolo di Little dog, perchè cosi facendo lo avrebbe protetto dagli spiriti malvagi che vagano sulla terra alla ricerca di bambini belli e sani, non lo avrebbero mai avvicinato sapendo che aveva un nome del genere, anche se cagnolino secondo Lan aveva in sé una grande tenerezza, quella che lei ha sempre provato per il nipote. Una nonna che nel trauma vissuto e ancora vivo fornisce tramite questo nome uno scudo protettivo al nipote, un tentativo ultimo di proteggere ciò che ancora è innocente, ciò che ancora non è stato spezzato dalla guerra.
Questa lettera è un ringraziamento verso la mamma e la nonna, l'unica famiglia che lui ha avuto, ma è anche una testimonianza di resilienza, di come nonostante il trauma che aleggia sulla testa dei nostri tre protagonisti, colui per il quale le due donne hanno tanto lottato ce l'ha fatta, e ce l'ha fatta anche per loro due, nonostante loro due siano state in diversi momenti carnefici involontarie nella vita di Little Dog. C'è un passaggio molto profondo in cui Rose dal nulla dice al figlio “Non sono un mostro. Sono una madre.” e Little dog lo sa “Forse mettere le mani su tuo figlio significa prepararlo per la guerra”.
Dopo aver letto questo meraviglioso testamento di un ragazzo ancora giovanissimo ma che sa quanto alle volte la vita pur non finendo può morire, credo di aver capito l'importanza del titolo e dell'immagine di copertina. Chi ha vissuto una guerra, di qualsiasi tipo, sa quanto breve e difficile da vivere può essere la vita da sopravvissuti, ma la lotta per renderla risplendente non si ferma mai, anche se è un continuo affanno, una strada in salita costellata di mine che esplodono ad ogni passo che i tre protagonisti fanno, si può vincere. Il cervo credo che sia la metafora perfetta del nostro Little dog, bello, fiero, eretto e solo in mezzo ad una strada da percorrere, in attesa di proseguire, proteso in avanti ma voltato indietro alla sua memoria, alla sua storia, alle sue cicatrici perchè come dice lui alla madre “una ferita è anche il punto in cui la carne rincontra se stessa, chiedendo all'altra estremità: dove sei stata?”.
Terminata questa lettura mi è subito venuta in mente una frase di Karen Blixen sull'importanza di dare voce al dolore che dice: “Tutti i dolori sono sopportabili se li si fa entrare in una storia, o se si può raccontare una storia su di essi.”
Buona lettura!