lunedì 6 dicembre 2021

La messa è finita, andate in ansia.

a cura di Valentina Albertini Psicologa, Psicoterapeuta, socia e didatta Csapr 

 

Midnight Mass e le grandi e piccole realtà dominanti quotidiane


Dice lo storico Yuval Harari che uno degli aspetti che ha permesso all'Homo Sapiens di diventare la specie più potente al mondo è stata la capacità di parlare di cose che non esistono, quella di raccontarsi storie, e di farlo collettivamente. Questo ha dato la possibilità a gruppi sempre più ampi di Homo Sapiens di unirsi e cooperare insieme per un bene superiore: un Dio, un destino, una Nazione. 
Harari sostiene che, per quanto vi impegniate "non riuscirete mai a convincere una scimmietta a darvi una banana promettendole che nel paradiso delle scimmiette, dopo morta, avrà tutte le banane che vorrà."
Ma quante banane sono disposte a cedere le scimmiette sapiens che, invece, al Paradiso credono?
È da questa domanda che si può partire per descrivere Midnight Mass, serie tv da poco uscita su Netflix, scritta e diretta da Mike Flanagan, veramente una perla.

Chi ha letto "Cose preziose" del re assoluto dell'horror Stephen King potrà ritrovarci non solo le atmosfere, ma anche i temi delle piccole paure quotidiane che si trasformano in orrori collettivi.
Noi psicologi possiamo anche pensare ai lavori di Adriano Zamperini sulla psicologia dell'inerzia e della solidarietà, su cosa rende spettatori o attori di fronte alle atrocità, e quali siano i meccanismi psicologici e relazionali alla base di questi eventi. 

La storia è abbastanza semplice, appartiene anch'essa a una narrativa globale condivisa e, per questo, ancor più inquietante: in un'isola dove tutto è piatto, piatta la vita, piatte le possibilità e la geografia, arriva un giorno un misterioso e coinvolgente parroco, capace di accendere il fervore intiepidito della congregazione. Dopo poco, cominciano miracolose guarigioni che avvicinano ancor di più la devota comunità di fedeli, finché il Bene e il Male si mescolano pian piano.

Gianmarco Manfrida, a partire dalle teorie dei sociologi Berger e Luckman, sostiene che le persone vivono immerse in narrative condivise di realtà quotidiane spesso organizzate su elementi banali e ripetitivi. Nascoste però in sottomondi sociologici esistono realtà alternative, storie diverse e differenti possibilità, che offrono a chi le sa vedere cambiamenti e novità: queste possono essere colte attraverso delle discrepanze nei racconti o nella quotidianità. 
Ma per farlo, bisogna essere in grado di vedere, e di voler mettere in discussione la realtà dominante. Invece sappiamo come i sistemi facciano di tutto per rimanere omeostatici: lo fanno rispetto ai loro funzionamenti, ai loro problemi, e alle loro credenze. Lo fanno continuando a raccontarsi la stessa storia dominante, giorno dopo giorno, a volte anche a costo di grandi sofferenze. 

Nella comunità di Midnight Mass, all'arrivo del carismatico Padre Paul, si crea una forte realtà dominante: siamo benedetti dal Signore, siamo ricompensati per la nostra fede, saremo salvi. E le discrepanze non vengono riconosciute, oppure vengono giustificate e inglobate nella speranza di un sogno salvifico. Mentre guardiamo la serie ci chiediamo "ma come? Come si può non vedere questo?", ma il mancato riconoscimento di tutto quello che stona è coerente con la narrativa collettiva: perché anche nell'Antico e nel Nuovo Testamento si parla di Angeli terribili, e spesso Dio agisce attraverso il dolore, la punizione, la paura.
Padre Paul e la sua piccola congrega di pescatori hanno un così grande bisogno di credere, della speranza di essere salvati ed di ottenere la vita eterna che fino alla fine metteranno in atto i comportamenti più assurdi e riprovevoli pur di non mettere in discussione la loro narrativa. 

Potrebbe sembrare una tematica del passato, ed invece credo che Midnight Mass racconti molto il presente e il futuro: il bisogno di nuove storie condivise, di miti assoluti che servano da collante e aiutino gli esseri umani a cooperare, della difficoltà di sostenere il dolore e l'angoscia nel presente, della pandemia e degli effetti dell'isolamento. E, soprattutto, del rischio che si può correre se i miti che verranno raccontati in futuro renderanno ciechi di fronte alla realtà e alle sue discrepanze. 

Manfrida ci ha insegnato che un lavoro terapeutico è buono se è in grado di creare una storia alternativa, che possa sostituire la realtà dominante essendo plausibile, convincente, e bella. Midnight Mass ci riesce, e  per vederne un esempio, senza fare spoiler, vi rimando ai minuti finali della serie.

Quindi, andate a guardare Midnight Mass. Vi piacerà, vi farà pensare, vi commuoverà. E speriamo che nel prossimo racconto collettivo riusciremo tutti a trovare "la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per conoscere la differenza".

giovedì 30 settembre 2021

L'incuria delle infanzie infelici

a cura di Valentina Albertini, Psicologa, Psicoterapeuta e Didatta

 
Guardando Shameless con occhiali sistemici


(Attenzione spoiler) 

Cosa significhi "Famiglia multiproblenatica" si intuisce, e nella complessità del mondo attuale a moltissimi di noi sarà capitato almeno una volta di avere in carico un sistema familiare con varie complessità. 
Nella teoria sistemico Relazionale, le famiglie multiproblematiche sono quelle nelle quali più di un componente presenta problemi di tipo psicologico, fisico e sociale. Le famiglie multiproblematiche sono al centro di una complicata costellazione di servizi, sociali e socio sanitari, spesso non in comunicazione fra loro, che mettono in atto interventi spezzettati, riproponendo nel sistema curante tutte le scissioni e i conflitti presenti nel sistema famiglia. 

Sono nuclei che hanno problemi in diversi contesti: difficoltà lavorative ed economiche, situazioni abitative inadeguate e precarie, problemi di salute, problemi scolastici, problemi di dipendenza e con la legge, diffidenza ma allo stesso tempo rapporto di dipendenza dai servizi. 
I membri hanno una comunicazione difficile, caratterizzata dal caos e dal l'ambiguità. 


Fra le serie TV di ultima generazione, non credo ce ne sia una migliore di Shameless per descrivere il funzionamento di una famiglia multiproblematica. 

È indubbiamente una delle mie serie preferite: graffiante, caustica, spesso scorretta, capace di raccontare la disperazione, ma anche la speranza e la voglia di farcela.

Racconta la storia della famiglia Gallagher, padre alcolista, madre abbandonica bipolare, e 6 figli.  Una famiglia che vive sempre sulla soglia della povertà (e spesso la supera), dove fin da piccoli si lavora (più o meno legalmente) per contribuire a pagare spesa e bollette, dove non ci sono confini né spazi propri. Praticamente è come guardare i Simpson, ma con tanti figli e senza entrate. 

Un sistemico fa la diagnosi già dalla sigla: telecamera fissa sull'unico bagno della famiglia, a porta rigorosamente aperta, dove si avvicendano tutti i protagonisti principali e nessuno riesce a trovare un attimo di privacy per i propri bisogni, mentre in sottofondo la canzone degli The High Strung recita ironicamente "Think of all the luck you got". 

Nei sobborghi operai della South Side di Chicago, il confine della legalità e della giustizia è sottile: la parola d'Ordine è sopravvivere, giorno dopo giorno. Si spaccia fin da ragazzini, si va in riformatorio, ma poi si sogna un po' di compensazione paterna arruolandosi nei marines, oppure cercando di costruirsi una propria famiglia che funzioni. 
I genitori bevono, o se ne vanno, adultizzando i figli maggiori che si prendono cura dei fratelli. E tutti oscillano fra comportamenti psicopatici e la disperata ricerca di figure affettive stabili. 

Siamo in America, e questo si nota subito: la sanità è un lusso, i servizi sono distanti, la scuola è un altro sistema da fregare il più possibile. I medici sono figure che spaventano perché presentano il conto, si intravedono pochi e stanchi assistenti sociali, gli insegnanti se ne fregano, ed in oltre cento puntate psicologi non pervenuti (neanche mezzo economico counselor, a dire il vero). 

Una riflessione in più per noi, che sappiamo che essere multiproblematici in un contesto con un welfare solido non è la stessa cosa che essere multiproblematici potendo chiedere aiuto solo al MadicAid. 

Il trigenerazionale è presente nelle storie di abuso di sostanze e alcool, che accomunano il padre Frank e i due figli maggiori
E in pieno stile americano, c'è pure la trasmissione genetica della malattia mentale, un bipolarismo con tutti i crismi che passa dalla madre al terzogenito. 

Nel crescere i ragazzi Gallagher cercano ognuno la propria strada, a volte riuscendoci, ma innescando poi quel meccanismo borderline che li porta a distruggere quello che costruiscono, sottolineando ogni volta "quel forte senso di disagio che ti prende quando vanno bene le cose".

Potrebbe farci disperare, Shameless. E invece si vive costantemente con la speranza addosso, il potercela fare, il rialzarsi dopo ogni batosta. 

Guardare i Gallagher che vivono, si innamorano, migliorano, ci fa provare la stessa emozione quando le famiglie multiproblematiche che ci chiedono aiuto cominciano a farcela. Un voto migliore a scuola, un lavoro più stabile, una casa più comoda: sono piccole grandi cose che nel lavoro complesso con famiglie dai molteplici problemi danno senso e valore al lavoro terapeutico. 

Perché ogni volta che succede possiamo pensare che io nostro è il mestiere più bello del mondo, e canticchiare a voce bassa "Think of all the luck you got".

venerdì 5 febbraio 2021

La potenza del mito familiare nelle famiglie multiproblematiche: “I Gallagher non vanno in terapia!”

A cura della Dott.ssa Elisa Bertilorenzi, Psicologa


Non ho mai pensato di scrivere una recensione su una serie tv, ma Shameless me l’ha servita su un piatto d’argento. La famiglia dei Gallagher vive nel South Side di Chicago e il contesto sociale in cui i personaggi sono inseriti lascia l’amaro in bocca, puntata dopo puntata. La decadenza dei valori familiari, della morale e dell’etica spinge i protagonisti a vivere una vita di sopravvivenza e resilienza.
La famiglia dei Gallagher è composta da Frank (il padre) Monica (la madre) e i figli Fiona, Lip, Ian, Carl, Debbie e il piccolo Liam. La coppia da tempo “separata”, è incapace di assumere una qualsiasi forma di ruolo genitoriale: l’idea che passa è di due “adolescenti sopravvissuti" che ancora non hanno risolto le loro questioni, sempre in cerca di una di finta autonomia, quando essere dipendenti da qualcuno o da qualcosa per loro è l’unica vera certezza. Frank si può presentare con le parole di Kevin (un amico di famiglia): “Frank è uno scarafaggio, puoi calpestarlo, usare il veleno, annegarlo ma spunterà sempre fuori dalla tazza del cesso!”. Lui è un manipolatore e alcolista cronico, nei giorni di festa omaggia il Dio in cui non crede con l’uso di sostanze e neanche un trapianto di fegato riuscirà a farlo smettere di bere! Per dirlo con le parole di Gregory Bateson, dal punto di vista psicologico, Frank incarna il paradosso dell’alcolista: una relazione simmetrica con la bottiglia con cui non ha intenzione di perdere la sfida, perché se così fosse dovrebbe ammettere la sua dipendenza e lui è un vero Gallagher; a Frank piace tutto degli alcolisti anonimi eccetto il divieto dell’alcool! Mente e corpo sono scissi: la prima spinge Frank a bere, mentre il secondo gli chiede disperatamente di smettere, ma lui è convinto che se non beve finirà per impazzire. La sua realtà dominate gli impone di deviare e scindersi dal contesto in cui vive per rifugiarsi nel mondo parallelo, dove l’unica cosa che conta è smettere di pensare. Frank è l’opposto di un padre esemplare, di fatti è costantemente ignorato e disprezzato dai suoi figli a causa dei suoi comportamenti distruttivi. In un episodio uno dei figli presenta suo padre cosi: “Mio padre, che vive di nuovo con noi, si è distrutto il fegato bevendo e ora cerca di estorcerne uno nuovo ai suoi figli, compresa una figlia maggiore che nessuno conosceva!”. Monica è una madre promiscua, nella serie la vedremo più volte cambiare relazioni con uomini e donne a cui si abbandona pericolosamente. Non sappiamo la sua storia familiare ma ciò che è certo è che ha messo al mondo i figli per poi sparire e tornare solo in caso di necessità, spezzando ogni volta gli equilibri. Ian uno dei figli la ritrova in casa dopo anni di assenza mentre fa dei biscotti in cucina e lo scambio di battute dei due racchiude perfettamente la dinamica relazionale: “ Ehi, tesoro! Ho fatto dei biscotti! (Monica) Ah! Allora siamo pari con il fatto che ci hai abbandonato!(dice Ian).” Monica soffre di disturbo bipolare che non riesce a controllare perché non segue una vera e propria cura farmacologica e da buona Gallagher acquisita, aderisce al mito familiare non andando mai in terapia, la vedremo nei suoi momenti maniacali e in quelli depressivi, questi ultimi sono un vero un colpo al cuore per i figli e per tutti gli spettatori. L’ho vista la prima volta dopo diversi episodi e si presenta alla famiglia reclamando il suo diritto di madre solo per l’ultimo figlio Liam avuto con Frank e poi abbandonato alle cure di Fiona. Per dirlo con le parole della psicoterapeuta Lorna Benjamin Smith, il “caso” vuole che Ian erediti il disturbo bipolare della madre, offrendole il suo sono d’amore, per mantenere una vicinanza forse l’unica possibile e stabile. Fiona è la figlia maggiore di Monica e Frank, l’unica che nelle stagioni si rivelerà in grado di crescere i suoi fratelli acquisendo anche la patria podestà; poco più che ventenne è lei il vero riferimento della famiglia fino a quando Lip, il fratello maggiore, non gli riuscirà ad essere di supporto. Fiona paga un prezzo molto caro per il suo sacrificio: la sua autonomia. E’ un personaggio che suscita ammirazione e rabbia, le stesse emozioni che i fratelli piccoli le rivolgeranno costantemente con punte di disprezzo e idealizzazione. Il sesso è l’unico modo con cui Fiona riesce ad entrare in intimità con gli uomini delle sua vita, le relazioni costanti per lei hanno solo una certezza: l’abbandono. Uno dei personaggi che cambia radicalmente nel susseguirsi delle stagioni è Debbie: dapprima la piccola di casa che contribuisce all’economia della famiglia inventando un asilo privato in salotto, poi ragazza ribelle in cerca della sua strada tentando uno svincolo impossibile con una gravidanza a soli 13 anni. Debbie sebbene non sviluppi nessuna dipendenza da alcol o sostanze come il resto della famiglia, si ritrova a scendere a compromessi con se stessa per ricevere amore e sentirsi desiderata. Solo con l’idea di un figlio tutto suo, riesce a sentirsi di nuovo l’oggetto d’amore di qualcuno che certamente non l’abbandonerà. Carl già a 11 anni è il candidato ideale per un disturbo di personalità antisociale: essere deviante è il suo forte! Lo vedremo solo alcune volte provare un certo affetto verso Fiona e il padre Frank. Carl è colui che più di tutti riceve e fa suo il mito famigliare di cui Frank è dispensatore costante. Questo dialogo rende bene l’idea: “Vai a spacciare droga di sabato mattina?” (chiede Frank) “Già” (risponde Carl). “Notevole etica professionale, rendi tuo padre orgoglioso! Quattordici anni e già spacciatore di droga incriminato. Speravo in Lip, ma ormai è al college, e quell’altro fa l’impiegato. Temevo che nessuno dei miei figli mi seguisse negli affari di famiglia” (Frank). L’identificazione proiettiva si trasforma in profezia che si auto-avvera: Frank non vede le sue fragilità ma le identifica in Carl che da bravo bambino, desideroso di amore, risponde con orgoglio all’immagine che il padre ha di lui, costruendo così la sua vita da criminale ma con il riconoscimento della sua esistenza da parte di papà. Lip sarà l’unico che avrà davvero una possibilità concreta di rendere la sua vita migliore ma la lealtà alla famiglia e al ghetto del South Side lo richiamano costantemente a casa, ricordandogli che non è più un vero Gallagher da quando ha vinto la borsa di studio al college. I miti familiari che uniscono questa famiglia sono complessi e ben radicati. Ogni tentativo di scardinarlo, arginarlo o respingerlo è un attacco all’identità. La funzione coesiva del mito permette ai protagonisti di non differenziarsi con la certezza che se nessuno cambierà ci sarà sempre un Gallagher al loro fianco. Anche io come spettatrice ho sperato che a un certo punto della serie Frank potesse cambiare e invece come ci ricorda uno dei protagonisti: “E’ un rito di passaggio essere delusi da Frank. Adesso anche tu sei una vera Gallagher!”