di Barbara Bertelli, psicologa psicoterapeuta.
Il
contributo di Juan Luis Linares alla psicoterapia relazionale è
vasto ed articolato, essendo il risultato di ricche esperienze
personali e professionali. Di fronte a tale complessità l'addetto
ai lavori, sia egli
terapeuta, formatore o allievo, si può muovere in due modi, entrambi
fruttuosi e non necessariamente escludentesi.
Il
primo, di tipo puntiforme, prevede che ci si soffermi sui singoli
concetti teorici che costituiscono l'ossatura del pensiero di J.L.
Linares: la distinzione tra coniugalità e genitorialità, il
nutrimento relazionale, l'abuso psicologico e quello fisico, il
neglect, intelligenza terapeutica... Questo modo di procedere
rappresenta il tentativo di parcellizzare un pensiero complesso, ma
fluido e coerente.
Se
l'esigenza è invece quella di "sintetizzare", l'obiettivo
diventa quello di individuare un Minimo Comun Denominatore tra i
diversi costrutti.
La
psicoterapia per J.L. Linares è familiare per scelta, per deduzione
non per vocazione o fede. Secondo J.L. Linares, infatti, una buona
terapia deve mantenere due referenti fondamentali: l'individuo e la
società. L'individuo, in quanto soggetto sofferente e portatore di
sintomi e la società, in quanto conferisce significato condiviso al
singolo comportamento e rappresenta risorse ed ostacoli per la
soluzione del problema. La famiglia rappresenta l'intermedio tra i
due.
In
quanto terapeuti, il trovare le giuste risposte, o per lo meno le
migliori, è ovviamente un obiettivo di responsabilità umana oltre
che professionale.
J.L.
Linares è molto chiaro in proposito. La terapia per essere efficace
deve produrre un cambiamento nella direzione di una riduzione del
malessere dell'individuo e/o della famiglia, attraverso l'utilizzo
consapevole del terapeuta stesso, impegnato, in quanto esperto, ad
instaurare un "buon trattamento", amorevole in un certo
senso e non basato unicamente sulla logica del controllo.
Questa
consapevolezza dovrebbe coinvolgere, oltre le famiglie, anche la
società e le istituzioni.
Privi
di questa "sensibilità terapeutica" gli interventi
rischiano di fallire, di ridursi a tentativi riabilitativi validi ma
tronchi.
In
termini diversi, Luigi Cancrini ha espresso un concetto assimilabile
a quello di Linares parlando di "cultura psicoterapeutica
relazionale", indicando con questa uno strumento – sociale
anche se clinico – indispensabile per il benessere umano.
Sembra
intuitivo, logico, la scoperta dell'acqua calda. Non esattamente e la
storia, incredibilmente recente, lo dimostra. L'esperienza sofferta
del dr. Semmelweis, medico ungherese che all'inizio del '900 ha
operato nel reparto di ostetricia del famoso ospedale viennese (la
cui biografia è diventata un celebre romanzo di Celine, oltre che la
sua tesi di laurea in medicina) fornisce un utile spunto di
riflessione. Brevemente: per i suoi contributi allo studio delle
trasmissioni batteriche da contatto e alla prevenzione della febbre
puerperale è noto come il "salvatore delle madri" e per le
stesse intuizioni che prevedevano unicamente l'obbligo per i medici
di lavarsi le mani con una soluzione di cloruro di calce dopo aver
praticato un'autopsia e prima di visitare le partorienti in corsia, è
morto in manicomio senza alcun riconoscimento. Il contesto in cui
presentò la sua "illuminazione", non ebbe nè la capacità
nè l'umiltà di riconoscerne il valore, negandolo con indifferenza
ostile.
J.L.
Linares direbbe che Semmelweis brillava per intelligenza terapeutica
in quanto portatore di senso comune (osservava e si domandava),
onestà intellettuale (Celine scrive: "non
si sarebbe mai messo sul cammino della ricerca se non vi fosse stato
spinto da un'ardente pietà per la rovina fisica e morale dei suoi
malati"),
ragionevole percorso formativo e coraggio di portare avanti ciò in
cui credeva indipendentemente da ostacoli burocratici e barriere
corporative.
Volendo
concludere, al di là degli specifici campi di interesse (siano essi
la psicopatologia relazionale, le tossicodipendenze, la narrativa
come risorsa tecnica persuasiva...), l'approccio
sistemico-relazionale non è soltanto un metodo clinico, ma un modo
di guardare il mondo, dove dissentire è un dovere oltre che un
diritto, a patto che il dissenso sia intelligente.