di Giuseppe Roberto Troisi, psicologo psicoterapeuta.
Un Bambino vivace
20
febbraio 1967 ad Aberdeen (stato di Washington -USA). Kurt Cobain
nasce in pieno boom economico in una cittadina in crescita
nell’industria del legname, nel profondo nord della costa del
pacifico. La madre riferisce di essersi sposata senza particolare
convinzione, giusto per “lasciarsi i problemi alle spalle!”. Kurt
è il primo figlio, nonché primo nipote della sua famiglia: “era
un bambino magnetico” dice orgogliosa la mamma.
In
effetti i video amatoriali della prima infanzia di Kurt mostrano un
bel bambino vivace e intelligente. Ama disegnare e i suoi disegni
sono formalmente corretti e adeguati alla sua età, vivaci nei
colori. Sapeva intere battute della sua trasmissione preferita.
Insomma un quadro ben lontano da quella di un bambino con Disturbo da
Deficit dell’Attenzione.
La
madre intende fare un altro figlio e pensa che “deve far calmare un
po’ questo bambino”. Così lo porta dal pediatra il quale lo
sottopone al “test dei movimenti oculari” con la torcia e
dichiara: abbiamo un problema!” e prescrive il Ritalin al piccolo
Kurt.
Il
Ritalin: una pillola per ogni problema
Si
rimane sgomenti ad ascoltare una descrizione così infelice di una
“diagnosi” complessa e pesante e la facilità con cui viene
somministrato uno psicofarmaco tanto potente in età pediatrica.
La
madre descrive il piccolo come “impazzito” ogni volta che la sera
gli somministrava il farmaco, in realtà un potente eccitante. Quanto
questo possa aver influito sulla vita di questo bambino non lo
possiamo sapere. Tuttavia, in un’intervista Kurt dichiara che con
quell’esperienza ha imparato che le emozioni potevano essere
regolate con i farmaci e che
quindi tanto valeva prendere l’antidolorifico più potente e
divertente: l’eroina! Questa sarà la sua compagna per il resto
della sua vita.
Nessuno
invece sembra interessarsi dello sviluppo di questo intelligente e
bel bambino: “Il padre prendeva in giro e umiliava il figlio!”
dice la madre. Intervistato a sua volta, questi ammette di aver fatto
molti sbagli col figlio. Una delle prime frasi che
Kurt scrive sul muro di casa è "my mum hates my dad and my dad
hates my mum”. All’età di 9 anni la mamma decide di
divorziare!
Senza
famiglia: vivere la solitudine
La
reazione di Kurt è di ribellarsi: la madre contrasta il figlio
finché un giorno decide di portarlo dal padre. Nessuna domanda sulla
sua ribellione, sofferenza o necessità di dare un senso a questa
esperienza. Come un pacchetto viene “lasciato” (“scaricato”
dirà lui in seguito) dal padre che, nel frattempo, dopo aver
promesso di stare sempre solo con lui, si era risposato con una donna
madre di altri figli. Un’altra delusione. Nella famiglia
ricomposta, Kurt non riesce a trovare un proprio spazio. La sua
ribellione continua inascoltata finché inizia a richiudersi nella
propria stanza, in compagnia della sola chitarra.
Inizia
un periodo in cui Kurt gira da una casa all’altra: nonni, zii, di
nuovo il padre, poi la madre “dopo un paio di settimane tutti
volevano cacciarlo!” dichiarerà la compagna del padre, poi
aggiunge: “in realtà lui sembrava volere solo la madre!”
I
suoi diari con scritti e disegni sono estremamente chiari su questa
sua sofferenza. Kurt sente che tutta la famiglia lo rifiuta. A 14
anni il padre definitivamente “lo scarica davanti casa della madre”
(parole di Kurt). In quel periodo inizia a consumare marijuana grazie
alla quale “si interrompono le sue crisi di nervi!”
Kurt
definisce quel periodo “il culmine dell’abuso mentale da
parte di mia madre”.
Scacciare
il dolore del trauma
Insieme
agli amici inizia a fare consumo di superalcolici. Compaiono i
pensieri suicidi. Un episodio sembra cruciale ed emblematico: Kurt
insieme agli amici frequentava una ragazza con un ritardo mentale a
cui rubavano gli alcolici. Un giorno va da lei e le propone di fare
sesso, lei inizia a spogliarsi e lui le chiede se lo aveva già
fatto. “Si, numerose volte con mio cugino!”
L’ammissione
della ragazza lo fa stare male: sente l’odore della sua pelle e
“della sua vagina” e scappa da quella casa. Tuttavia nei giorni
successivi gli amici iniziano a far girare pettegolezzi su di lui e
questa ragazzina e diventa oggetto di scherno e umiliazione. Deluso
da tutti si siede sui binari del treno delle 23 aspettando di morire;
fortunatamente sbaglia binario e il treno passa accanto (Kurt
sostiene che il treno aveva preso uno scambio diverso dal solito). Lo
usa come momento per cercare di rimettersi in piedi anche se il suo
senso di odio, vergogna e solitudine non si placa, inascoltato. “Ero
introverso, solitario” “Mi sentivo così diverso e folle che la
gente mi evitava!” scrive.
Dal
Punk-Rock al Grunge: esprimere le emozioni con la musica
E’
così che incontra il punk-rock che riesce a interpretare, raccontare
ed esprimere i suoi sentimenti inespressi. Mette su una band e
suonavano tutti i giorni un paio d’ore dovunque capitava, anche in
piccoli garage, come dichiara Krist Novoselic, amico e compagno di
band.
In
una di questi “concerti” incontra Tracy Marander che se ne
innamora e lei lo “alleva” come fidanzato e come figlio. Diventa
un punto di riferimento, una risorsa emotiva e relazionale. Crede in
lui e gli fornisce calore, una casa e fiducia nelle sue possibilità
musicali: “Non aveva difficoltà ad accettare l’amore, ma aveva
paura di restare ferito!”
Queste
brevi frasi sembrano dirci più del DSM 5 (manuale di psichiatria):
odio, vergogna, paura sembrano essere le emozioni chiave per
descrivere la vita emotiva del giovane Kurt.
La
parola vergogna (shame) ricorre spesso nelle sue canzoni insieme a
paura (scare) come nel pezzo "Floyd the barber"
Dice
Loredana Lubrano (cantante e vocal coatch) riguardo la modalità di
emissione nella parola “Shame” di questa canzone: “Ogni ‘messa
in voce’ sembra che parta come un sospiro e poi si evolve in un
lungo urlo squarciante. C’è una drammaticità viscerale in ogni
“Shame”: sembra infatti che questa parola diventi urlo solo dopo
aver attraversato tutto il corpo, partendo dalle viscere fino
all’apparato vocale. Dal respiro all’urlo. La costrizione che
l’aria incontra in laringe e nel vocal tract sembra non muti mai ad
ogni ripetizione del testo, nel rispetto e nella coerenza con il suo
significato e cioè quello della “vergogna”.
Anche
nei suoi diari la rabbia esplosiva e splatter emerge in modo
imponente, così come alcuni tratti persecutori, per esempio i
riferimenti a neonati che diventano assassini dei genitori: “your
parents are afraid of you”. Non a caso nella copertina di
“Nevermind” compare un neonato immerso nell’acqua. L’ossessione
per la nascita ritorna nuovamente con il titolo del terzo album “In
Utero”.
Colpiscono
alcune frasi sul suo diario scritte in modo estremamente meticoloso e
chiaro, al contrario di altre parti completamente caotiche:
-
il punk rock significa libertà
-
sono pienamente cosciente della sincerità della mia voce
-
amo i miei genitori ma non accetto ciò che essi rappresentano
-
le mie emozioni sono influenzate dalla musica
-
uso pezzi della personalità degli altri per formare la mia
-
sono minacciato dal ridicolo
“Sono
pienamente cosciente della sincerità della mia voce!”: ascoltare
il trauma
Come
non concordare con questa breve ma definitiva affermazione: Cobain
suona e canta e quando canta usa tutto il corpo per esprimere un
disagio antico e inascoltato, che oggi potremmo definire “disturbo
traumatico dello sviluppo” (Van der Kolk,
2015).
Storie
infantili con uno sviluppo traumatico interferiscono con le funzioni
integratrici di memoria e coscienza per arrivare a manifestare
sintomi dissociativi (Liotti e Farina, 2011).
L’aver
subito, durante l’infanzia,
esperienze relazionali traumatiche altera la formazione dei neuroni
specchio; ciò significa alterare la capacità d’integrazione
interpersonale, ovvero, le sue
capacità di vivere le relazioni in modo stabile e continuativo.
Le
esperienze di insicurezza, umiliazione, oscillazione dell’umore da
parte della persona di attaccamento primario (la madre e il padre)
tendono a sviluppare il cosiddetto “atteggiamento conservativo”,
cioè la tendenza a interpretare le situazioni neutre come situazioni
potenzialmente pericolose da cui bisogna difendersi. In qualsiasi
modo. Magari con delle pistole come in “Come as you are”
dove il ritornello “memoria, memoria, memoria” sembra
alludere a qualcosa che non si riesce a dimenticare e che ritorna
continuamente alla mente, nonostante gli sforzi per farlo (il
flashback).
Le
memorie traumatiche infatti restano come congelate, impossibili da
integrare. La Teoria polivagale di Porges spiega come i traumi
ripetuti, la presenza costante della minaccia di abbandono, attiva
continuamente i sistemi dei gangli di base connessi alle reazioni del
sistema nervoso autonomo e questa iperattivazione continua impedisce,
di fatto, l’integrazione delle relazioni, delle immagini e dei
ricordi; questi riemergono così sotto forma di sensazioni corporee,
suoni, movimenti e immagini intrusive, impossibili da controllare.
La
vita rimane scissa, divisa fra la parte che tenta di adattarsi e
andare avanti e quella terrorizzata, minacciata, inadeguata, che
cerca solo di proteggersi con l’attacco, la fuga o il congelamento.
Quando lo stimolo esterno o interno riattiva il senso di minaccia il
corpo si dissocia.
La
voce del trauma
Cosa
possiamo trovare di tutto questo nella voce e nella musica dei
Nirvana, ovvero di Kurt Cobain? Come definire il Grunge?
“I
brani sono spesso inizialmente oscuri, ipnotici, fatti di strofe dove
la voce appare sofferta, per poi sfociare in rabbiosi ritornelli
urlati. La tradizionale forma-canzone "strofa-ritornello-strofa"
(tra l'altro omaggiata/criticata spesso dal leader dei Nirvana Kurt
Cobain) è assunta a schema privilegiato di un genere che punta
direttamente al sodo, eliminando troppi fronzoli e tecnicismi.”
(tratto da wikipedia)
Osservare
i concerti dei Nirvana significa osservare salti continui, sul piano
musicale e vocale. Le chitarre spezzate si accompagnano a momenti
quasi intimistici. Dove sta il ragazzo timido, osservando la star che
suona in modo energico, intrattenendo folle di adolescenti che si
spingono e saltano uno addosso all’altro?
C’è
una famosa scena, che non a caso apre il bellissimo docufilm “Cobain”
diretto da Brett Morgen, in cui Kurt sale sul palco spinto su una
carrozzella, si alza e poi casca, come se veramente fosse un
paraplegico e rimane disteso come morto. L’inquadratura dall’alto
lo mostra come il cadavere nella scena di un delitto.
La
vergogna e l’odio sembrano le emozioni che accompagnano
costantemente l’infanzia e l’adolescenza di Kurt.
Il
Trauma Complesso comporta una continua oscillazione fra il tentativo
di nascondere i (presunti) motivi di cui ci si vergogna e la
difficoltà a credere nelle proprie risorse anche quando queste sono
presenti e palesi.
La
sorella dichiara: “Il cervello di Kurt era sempre in funzione.
Pensava sempre a qualcosa.”
La
mamma: “Forse faceva fatica ad accettare i complimenti”; “il
suo obiettivo era essere il più perfetto possibile”, in tutto. Un
perfezionista deluso di sè stesso, alla ricerca di accettazione ma
diffidente verso l’accoglienza e l’amore (come accadrà con la
moglie).
La
madre di Kurt fu profetica quando, dopo aver sentito il master di
“nervermind”, avverte il figlio: “mettiti le cinture perché tu
non sei pronto a questo”, alludendo che la genialità del musicista
non era supportata dalla capacità emotiva di sostenerla.
La
breve ma intensissima storia d’amore con Courtney Love, di cui nel
film sono presenti numerosi video familiari, esprime bene questa
difficoltà nel reggere la stabilità relazionale, in un vissuto che
non riesce a uscire dal dramma.
L’ultima
apparizione in tv avvenne in Italia nella trasmissione della Dandini
“Tunnel” (23/02/1994).
La
voce esprime rabbia, ma anche senso di disgusto, quasi vomito. E’
una voce debole, poco sostenuta. I Nirvana sono a Roma e Cobain è
accompagnato dalla moglie Courtney Love che sembra stanca degli
sbalzi d’umore di Kurt. Sta pensando se lasciarlo e lui tenta un
altro suicidio. Questa volta a salvarlo è proprio lei, ma solo per
poco. Il 5 aprile a Seattle riesce a concludere la sua vita.
Si
può superare il trauma?
In
tutta questa storia non si trova mai un riferimento a una risposta
alla sua continua richiesta d’aiuto. Non c’è mai un riferimento
a uno psicoterapeuta: come se il dolore potesse trovare risposta solo
nella chimica: droghe o farmaci che siano. Il misconoscimento del
trauma sembra emergere all’improvviso nelle parole dell’amico e
compagno di band, il bassista Krist Novoselic, che sgomento risponde
al regista “era tutto scritto lì, nei suoi disegni: bastava
guardare!”.
Appunto:
perché sembra così difficile riconoscere i danni e la sofferenza
del trauma? Perché un comportamento che esprime così tanta
sofferenza viene così facilmente etichettata come irrecuperabile o
come bizzarria caratteriale?
Non
possiamo sapere cosa sarebbe successo se qualcuno avesse portato Kurt
Cobain in psicoterapia. Soprattutto se nell’infanzia fosse stata
data una risposta diversa da quella farmacologica prendendosi cura di
una famiglia disorientata e confusa.
La
richieste di cura merita sempre di essere ascoltata anche da parte di
chi, come gli artisti, nell’arte trova un meraviglioso sfogo
espressivo, ma non l’uscita dal disagio. L’arte, qualunque arte,
esprime emozioni e idee, da sollievo ma non basta per curare il
dolore. Anche gli artisti meritano di vivere più felici e quando
chiedono aiuto hanno diritto che gli venga fornito.
Bibliografia e filmografia di riferimento
“Cobain:
montage of Heck” Film montato e diretto da Brett Morgen
Van
der Kolk (2015) Il corpo accusa il colpo MIlano Cortina
Liotti,
Farina (2011) Dimensione dissociativa e trauma dello sviluppo
Cognitivismo clinico
Cancrini
L. (2013) La cura delle infanzie infelici Cortina Milano
Porges
S.W. (2014) La Teoria Polivagale: fondamenti neurofisiologici delle
emozioni, dell’attaccamento,
della comunicazione e dell’autoregolazione.
Roma: Fioriti Editore,
Troisi
G.R. (2014). L’uso
del corpo in psicoterapia: applicazioni cliniche e prospettive di
ricerca fra corpo, emozioni, relazioni e narrazione.
http://www.academia.edu/11336144/
Troisi
G.R. (2016) La voce la memoria corporea e la relazione in
psicoterapia Terapia Familiare, n. 111 Milano: Franco Angeli
Troisi
G. R. (2016), Le voci di dentro: trauma, voce e sistemi relazionali
interni in Rivista di psicoterapia relazionale n.44 Milano: Franco
Angeli
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