lunedì 30 maggio 2022

Coco: recensione relazionale sistemica

a cura di Elisa Bertilorenzi e Diletta Pampaloni, allieve Csapr

 

Scrivendo questa recensione ci siamo domandate se, negli ultimi anni, Disney ha assunto uno psicoterapeuta sistemico tra i suoi ranghi. 

Non sappiamo se, per pregiudizio o per casistica clinica, le famiglie che ultimamente vengono presentate nelle pellicole Disney sono famiglie matriarcali, dove il potere è ben custodito dalla parte femminile della famiglia che con rigore e dolcezza, ma anche esercitando un gran senso di colpa e apprensione, riesce a mantenere tutta la famiglia in uno svincolo inaccettabile che mantiene lo “status quo”.

Storie come quella della famiglia Madrigal (Encanto 2021) strizzano l'occhio alle dinamiche familiari e anche allo svolgimento di un buon processo terapeutico, comprensibile dagli 8 anni in su.

Una delle pellicole più importanti che ha fatto da apripista in questo senso, è sicuramente “Coco”. 

Coco è un film Disney/Pixar uscito ormai qualche anno fa (2017), ebbe un forte impatto mediatico e una grande risonanza sui social.

Coco è stata una pellicola innovativa sotto molti punti di vista, primo tra tutti il riuscire a parlare ai bambini, in una concezione nuova e quasi gioiosa, del delicato tema del lutto. Questa storia permette a grandi e piccini di parlare di morte in modo diverso e naturale, senza la forzata presenza di un cacciatore cattivo o di un traumatico tradimento tra due fratelli felini. 

Disney propone una rilettura della morte, molto diversa da quella occidentale grazie al “Dia de Muertos” o festa dei morti: la morte non è più un diavolo da ingannare, ma una tappa che ci aspetta al termine del nostro ciclo di vita.  La pellicola ha il compito di trasmettere ai bambini un'agrodolce verità: tutti noi abbiamo il nostro appuntamento da sempre fissato con la Morte e che sia a Samarcanda o a Prato poco cambia, quel che fa la differenza è l’affetto dei nostri cari. 

Come prima accennato, il film è stato a lungo osannato e utilizzato per avvicinare bambini (e non solo) alla tematica del lutto, ma occorre sottolineare che la pellicola di Coco è anche una storia centrata sulla ricerca della propria strada e sul processo di svincolo. 

Coco narra di una famiglia messicana che ha acquisito il proprio ruolo nella comunità col passare delle generazioni, attraverso il sacrificio e la totale dedizione familiare al lavoro di calzolai. 

Miguel è un ragazzo che fa parte dell'ultima generazione e non ha la testa tra lacci e cuoio, ma tra musica, mariachi e chitarra.

L’adolescente però è consapevole di un mito familiare alquanto pesante e fondante:

"La musica aveva lacerato la famiglia ed erano state le scarpe ad averla riunita". 

L’urgenza di Miguel di poter fare realmente ciò che ama, ovvero suonare la chitarra, lo porta a ritagliarsi uno spazio segreto in cui esercitarsi con le videocassette del suo idolo indiscusso: Ernesto de la Cruz, il cantante più amato di tutto il Messico e originario del paese in cui la famiglia di Miguel vive.

Nella speranza di poter dimostrare a sé stesso e a tutta la famiglia di avere un talento per la musica, Miguel decide di iscriversi all’insaputa di tutti, ma soprattutto della nonna Abuelita, ad un concorso musicale per la festa dei morti.

Quando la nonna lo scopre, in prenda alla rabbia e al senso di tradimento percepito verso tutta la famiglia, gli rompe la piccola chitarra che si era costruito per partecipare alla gara.

Da quel momento, qualcosa si lacera definitivamente, un po' come quando in terapia si pone la fatidica domanda: “Fino a quando è andato tutto bene?”.

Da quel momento diventa evidente che lo svincolo dalla famiglia è impossibile: nessuno si schiera con lui, l’unico che (se fosse ancora in vita) gli avrebbe dato il suo sostegno sarebbe stato il famoso trisnonno che però aveva tradito la famiglia per la musica ed era stato escluso da tutti i ritratti di famiglia, anche quelli che si appendono per la festa dei morti.

Una delusione ancora più tagliente arriva dai genitori di Miguel che rincarano la dose, affermando al giovane che: “Se Abuelita non vuole che tu lo faccia, non lo farai”; “Un Riveira è sempre un calzolaio, in tutto e per tutto”!

Miguel decide di ribellarsi e profana la tomba di Ernesto de la Cruz per prendere in prestito la sua chitarra e poter suonare, ma scocca la mezzanotte e inizia la festa per il Dia de Muertos. Il ragazzo si troverà improvvisamente in un viaggio nel mondo dei morti e, oltrepassando il ponte di fiori che permette ai morti di vedere i loro cari ancora in vita, comincerà un’intrigante scoperta del suo genogramma familiare. In entrambi i mondi, troviamo una famiglia in cui il potere è gestito e controllato dalle donne più anziane: nel mondo dei vivi abbiamo Abuelita e nel mondo dei morti abbiamo la trisnonna Imelda.

Miguel ha solo un giorno a disposizione per ricevere la benedizione che gli permetterà di tornare dalla sua famiglia in vita. Per sciogliere la maledizione che è caduta su di lui, profanando la tomba di Ernesto de la Cruz, ha bisogno della “benedizione familiare”, simboleggiata da un petalo.

Per avere questo "lascia passare", la trisnonna Imelda mette tutti i vincoli che il mito trigenerazionale insegna: “Noi ti diamo la benedizione, a patto che non toccherai più una chitarra e ti dimenticherai della musica”.

Miguel combatte per la sua passione, la sua individualità e, a costo di tradire nuovamente tutto l’albero genealogico, si incammina verso la dimora di colui che certamente lo avrebbe capito, sostenuto e approvato: il trisnonno, che pensa essere proprio Ernesto de La Cruz.

Nel suo viaggio, Miguel sarà sempre accompagnato dal suo cane Dante che, come il più fedele tra gli amici, lo segue anche nel mondo dei morti e da Hector che si rivelerà prezioso come ogni co-protagonista ed eroe buono. Hector ha cercato per molti anni di attraversare quel ponte di fiori per rivedere, almeno una volta, sua figlia che è ancora in vita e fino all’ultimo combatterà per ricongiungersi a lei.

Nel corso della storia sarà proprio questo personaggio a trasmettere quanto i segreti di famiglia, come quello che riguarda Hector, nascano con l’intento protettivo ma finiscano per pesare sui i membri di una famiglia, anche a distanza di generazioni.

Come in ogni storia che si rispetti ecco il momento più atteso e rivelatorio: Miguel, che aveva idealizzato la figura del suo presunto bisnonno Ernesto, scopre un’amara verità che lo porterà a riconsiderare le sue convinzioni fino a quel giorno.

Nella scissione che Miguel porta con sé, tra l’eroe buono e l’eroe cattivo, ci sarà un ribaltamento che gli permetterà di fare un passo di crescita integrando, nella sua individualità, gli aspetti di ribellione e di dipendenza che ogni adolescente vive nel suo viaggio per l’adultità. Come l’ottica sistemica e l’ipotesi della circolarità ci insegnano, anche per la famiglia questo delicato passaggio impone l’adempimento a dei compiti evolutivi necessari per garantire lo svincolo e il processo di individuazione dei giovani. 

Questo passaggio nella famiglia di Miguel risulta particolarmente complesso: il potere matriarcale del più saggio perché anziano, i ruoli non definiti e i confini inesistenti, portano il ragazzo, come Hector in passato, a sentirsi degli “Esclusi” dalla famiglia, coalizzata da sentimenti di rabbia e paura per la separazione.

L’alleanza attiva tra questi due personaggi nel film sarà salvifica perché si uniranno anch’essi per il bene della famiglia senza però tradire sé stessi; nel mondo dei vivi li aspetta una complice silenziosa: la nonna Coco che, appena proferisce parola, riallinea ciò che era stato dimenticato, autorizzando così Miguel allo svincolo, stavolta reale, trasparente senza bisogno di allontanarsi, sentirsi diversi e non riconosciuti. 

Dal punto di vista sistemico si potrebbe dire che Miguel, come tutti i pazienti designati, si fa portatore di un sintomo che riguarda non solo un malessere individuale ma familiare. Il protagonista, con le unghie e con i denti, non abbandona la sua missione: la determinazione è talmente forte che lo porta a rischiare moltissimo, anche la sua stessa vita, passando nel regno dei morti.  

La potenza che muove Miguel ci ricorda la rigidità e la disperazione con cui le anoressiche si impongono di non mangiare, intraprendendo una guerra contro sé stesse e il mondo che le circonda; se ambientato in Europa o in una società più contemporanea, chissà che sintomo avrebbe manifestato Miguel per tentare lo svincolo dalla sua famiglia.

Coco è una storia che insegna molto dal punto di vista psicologico: in una famiglia invischiata, che non sente ragione né nel mondo dei vivi né nel mondo dei morti, un papabile terapeuta sistemico avrebbe dovuto convocare tutta la famiglia, ricostruendo in prima seduta il genogramma familiare per capire come legittimare Miguel a fare musica.

Siamo sicure che, anche in questo caso, Abuelita, non ci avrebbe messo un attimo a sabotare le sedute a suon di scarpe che volano nella stanza di terapia!!!



 

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