martedì 2 maggio 2017

Difficoltà di apprendimento e famiglie: la prospettiva sistemico-relazionale.

di Valentina Albertelli, Diletta Albiani , Denise Aletti e Marzia Donati, psicologhe



I Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) sono disturbi del neurosviluppo che riguardano la capacità di leggere, scrivere e calcolare in modo corretto e fluente, che si manifestano con l'inizio della scolarizzazione.
In base al tipo di difficoltà specifica che comportano, i DSA si dividono in: DISLESSIA, difficoltà nella lettura di un testo scritto, DISORTOGRAFIA, difficoltà nella competenza ortografica, cioè scrivere correttamente seguendo le regole dell’ortografia, DISGRAFIA difficoltà nell'abilità motoria della scrittura, cioè scrivere in modo leggibile  e DISCALCULIA, difficoltà nel comprendere e operare con i numeri, ad esempio imparare le tabelline, fare i calcoli.
Questi disturbi dipendono dalle diverse modalità di funzionamento delle reti neuronali coinvolte nei processi di lettura, scrittura e calcolo.

Non sono causati né da un deficit d’intelligenza né da problemi ambientali o psicologici o da deficit sensoriali (fonte: AID-Associazione Italiana Dislessia).
Recentemente il Miur ha registrato un aumento significativo delle diagnosi di DSA che, dallo 0,7% della popolazione scolastica sono passati in cinque anni al 2,1%, cioè 187mila.

La certificazione diagnostica (ai sensi della L.170/2010) è il primo passo per aiutare i bambini in difficoltà nel contesto scolastico, per garantire una didattica adeguata ai loro bisogni e favorire in questo modo l’apprendimento. E’ importante sottolineare, però, che i bambini con DSA non necessitano soltanto di un “Piano Didattico Personalizzato” (PDP) ma, soprattutto, di un contesto relazionale accogliente e di supporto, che li sostenga, anche emotivamente, nel loro faticoso percorso formativo.

La diagnosi, se da un lato può portare alla risoluzione di una parte delle implicazioni emotive e sociali del bambino legate ad una mancanza di riconoscimento delle sue difficoltà, dall'altra implica il confrontarsi con il dolore legato alla diversità. Molti bambini, infatti, non riescono ad accettare le loro problematiche e vivono con disagio il dover ricorrere a “strumenti compensativi” (strumenti didattici e tecnologici che sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta nell'abilità deficitaria, quali ad esempio: la calcolatrice, la sintesi vocale, il registratore per prendere appunti durante la lezione, programmi di video scrittura con correttore ortografico, tabelle, formulari e mappe concettuali...) e l’adozione, da parte degli insegnanti, di “misure dispensative” (interventi che consentono all'alunno di non svolgere alcune prestazioni che, a causa del disturbo, risultano particolarmente difficoltose e che non migliorano l’apprendimento, come ad esempio: la scrittura sotto dettatura veloce, copiare dalla lavagna, leggere a voce alta in classe...).

Così come J. Haley parla di “crisi di transizione” riferendosi al passaggio da una fase all'altra del ciclo vitale dell’individuo e della famiglia, anche l’arrivo della diagnosi si può considerare un momento di squilibrio in cui tutta la famiglia si trova ad affrontare un evento inatteso e quindi potenzialmente problematico per uno qualsiasi dei componenti della famiglia. Non è raro infatti che, a seguito della certificazione, la coppia genitoriale (o coniugale) non regga ed emergano conflitti che prima erano poco manifesti.
I genitori, quando prendono consapevolezza  del problema, talvolta modificano in modo radicale il loro stile educativo, diventando iperprotettivi e rinunciatari o, al contrario, esigenti e iperstimolanti. Spesso, infatti, di fronte agli insuccessi e alle difficoltà dei figli, si sentono confusi e incompetenti e i loro comportamenti  alimentano l’insicurezza e il disagio del bambino, che non si sente adeguatamente supportato e compreso.

Nella nostra esperienza lavorativa, come psicologhe esperte nella valutazione e nel trattamento dei DSA, più volte ci è capitato di trovarci di fronte genitori che faticano a riconoscere e ad accettare la diversità del figlio. Alcuni minimizzano il problema e spronano il bambino ad impegnarsi maggiormente e ad adeguarsi alla didattica della classe, altri cercano soluzioni miracolistiche e assumono atteggiamenti polemici verso la scuola e gli specialisti, altri ancora sono completamente deleganti e disimpegnati e infine alcuni amplificano il problema e tendono a sollevare il figlio da qualsiasi impegno. In questi casi è opportuno lavorare anche con i genitori per aiutarli a comprendere e ad accettare la condizione del figlio e a trovare un modo più funzionale per supportarlo.

E’ importante anche che i genitori non vedano il figlio solo come scolaro, perché ciò spesso mina il rapporto genitori-figlio e dunque il clima familiare, ma come uno scrigno che ha in sé anche potenzialità, da scoprire e soprattutto da valorizzare. Riguardo al lavoro con il bambino, l’obiettivo del trattamento, non è solo quello di potenziare le abilità deficitarie, ma anche quello di favorire un contesto relazionale in cui si senta accettato, compreso e supportato emotivamente nel gestire le sue difficoltà. Alcuni bambini mostrano un evidente disagio in relazione alla propria condizione, che può manifestarsi con una ridotta autostima, uno scarso investimento, una bassa tolleranza alle frustrazioni, per cui, è necessario tenerne conto durante il percorso d’intervento per impostare adeguatamente il lavoro e aiutarli anche dal punto di vista emotivo. Capita spesso che i ragazzi con difficoltà di apprendimento manifestino il loro disagio anche attraverso comportanti oppositivi o attraverso manifestazioni sintomatiche di ansia o isolamento sociale.

Infatti, circa l’80% dei bambini con problemi di apprendimento presenta anche problematiche di tipo relazionale. Di solito, tali bambini, sono meno benvoluti e più facilmente respinti rispetto agli altri compagni, presentano minore adattamento sociale ed emotivo, maggiore ansia, ritiro in se stessi, depressione e bassa autostima (Searcy, 1988; Wong, 1996).
Sulla base di queste considerazioni ci rendiamo conto che in alcuni casi, per aiutare nel modo migliore il bambino, potrebbe essere utile anche un intervento terapeutico. A questo proposito, la psicoterapia sistemico-relazionale si configura come un approccio in grado di aiutare non soltanto il bambino, ma anche la sua famiglia, collaborando anche con la scuola e con i servizi.
Compito del terapeuta sistemico-relazionale è, in questi casi, prima di tutto quello di dare voce al dolore e al disagio del bambino, in un contesto di ascolto e di accoglienza. Attraverso colloqui di tipo genitoriale e familiare si cerca inoltre di dare un senso ai sintomi del bambino per aiutarlo a sentirsi accettato e compreso nelle sue difficoltà, e per migliorare le sue relazioni con i genitori e gli eventuali fratelli.
Comunque reagiscano, i genitori hanno bisogno di aiuto per comprendere e accettare la realtà e imparare a trasformare il dolore che provano in aiuto concreto al figlio, che ha bisogno di qualcuno che lo aiuti a contenere il suo grande smarrimento e le sue fatiche.

Bibliografia
Haley J., Terapie non comuni:tecniche ipnotiche e terapia della famiglia, Asrolabio, 1978
Cornoldi, C. (a cura di), Difficoltà e Disturbi dell'Apprendimento , Il Mulino, Bologna, 2007
Searcy S. (1988), “Developing self-esteem”, in Academic Therapy , vol. 23 (5), pp. 453-460
Wong B. (1996), The ABCs of learning disabilities, Academic Press, San Diego U.S.A.
Legge 8 ottobre 2010, n. 170
Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento, allegate al decreto ministeriale del 12 luglio 2011
Sitografia
www.aiditalia.org
www.airipa.it

1 commento:

  1. Mi sembra opportuno ribadirlo...non è solo un intervento sul problema scolastico me di più ampia valutazione. Spesso sono bambini che hanno paura del giudizio di un adulto significativo e che presentano difficoltà scambiate come disturbi di apprendimento....ho qualche esperienza in merito. Claudio Conti psicologo, Trevignano R.

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