di Maria Antonietta Gulino, psicologa psicoterapeuta.
Per
dirla alla Jay Haley “meglio
partire dal più complesso che dal più semplice”.
L’
approccio sistemico-relazionale è decisamente un approccio
“multidimensionale”, “multi-topico”, “multi-verso”. Oltre
al trattamento clinico di famiglie, coppie e individui, si rivolge
alla costruzione di canali comunicativi e alla progettazione di
obiettivi clinico-educativi anche in contesti di lavoro altri
rispetto al setting tipicamente clinico.
Negli
ultimi dieci anni mi sono occupata all’interno del CSAPR di Prato
del lavoro di rete con gli operatori della Neuropsichiatria della Asl
di Firenze, tra vincoli e possibilità. I vincoli sono quelli
relativi alle diverse azioni sanitarie, sociali, educative e
psicoterapeutiche che perseguono obiettivi diversi a secondo delle
diverse professionalità in campo; le possibilità sono quelle
relative ad un modo di operare in rete che sia “integrato” e cioè
circolare e reciproco tra le varie figure e tra i diversi interventi.
L’idea
di base sta nell’aver messo al centro non solo l’individuo e le
sue relazioni significativi ma anche e soprattutto le relazioni che
la famiglia in carico ha con i molteplici sistemi di cura, ritenendo
che circolarità e scambio efficace tra tutti questi attori ha
un’incidenza significativa ai fini della di una prognosi
favorevole.
Spesso
il focus dell'interesse della famiglia e dei Servizi è il
sintomo-problema invece che tutto ciò che il sintomo sottende,
quindi dinamiche familiari dolorosamente bloccate che spesso mettono
in difficoltà i Servizi, costretti all’invio in Terapia Familiare
come “ultima spiaggia”.
La
ricerca di un livello “Meta” di condivisione tra i curanti da una
parte riduce il rischio molto comune di “rincorrere” o
“riproporre” dinamiche sintomatiche ridondanti per cui è
previsto spesso assistenzialismo e collusione col contesto che le ha
prodotte dall’altra propone in alternativa una matrice di
significati nuova, condivisa con i Servizi che hanno in carico i
casi.
Attraverso
una sinergia di interventi terapeutici, farmacologici, sociali e
educativi ( e quindi attraverso riunioni d’equipe, scambi di
riflessioni, aggiornamenti attraverso telefonate e mail ) l’obiettivo
di un Lavoro di Rete con i Servizi è creare differenze e quindi
evoluzione e cambiamento, il tutto nel rispetto dei diversi ruoli
professionali pubblici e privati coinvolti (neuropsichiatri
infantili, assistenti sociali, educatori, psicologi e psicoterapeuti
sistemici).
Gli
esiti del lavoro incrociato tra CSAPR, Servizi e famiglie permette di
fare alcune riflessioni finali.
Il
nostro modus
operandi si è
basato sulla ricerca di un confronto con gli operatori della Asl e
con tutti gli altri sistemi coinvolti per far emergere i punti in
comune di una sinergia da condividere e per togliere alle differenze
professionali quella componente ansiogena con cui spesso si confronta
chi fa questo lavoro. Questo è alla base di una fiducia reciproca e
di una collaborazione multiprofessionale.
La
conseguenza più evidente è stata una diminuzione della frequenza
dei tempi di invio della NPI al nostro Centro Studi: abbiamo spiegato
questo fenomeno ipotizzando che un intervento tempestivo e sinergico
accorci i tempi “patologici” a carico della famiglia, che a sua
volta è a carico dei Servizi.
Mettere
in Rete prima e costruire una Rete dopo con la famiglia e con gli
enti istituzionali ha permesso di ridurre sterili conflitti,
allargare sulle incomprensioni e aggiungere punti di vista.
Il
lavoro di équipe del Centro Studi ha assolto alla funzione di
“mediatore intersistemico” laddove errori comunicativi e
impasse potevano
colludere o bloccare il progetto terapeutico dei sistemi curanti.
Si
è creato così un clima più disteso in cui la famiglia si è
accomodata
affidandosi ai professionisti e successivamente puntando sulle
proprie risorse familiari. Fare leva su questo piuttosto che
evidenziare i limiti e le mancanze del sistema familiare, a nostro
parere, è il punto di forza per ottenere il cambiamento e gradi
sempre maggiori di salute.
Se
la famiglia riesce a percepire il “Sistema Curante” come alleato
metterà in campo le sue risorse, si impegnerà per superare le
difficoltà e alla fine del processo terapeutico riconoscerà in sé
stessa la capacità di uscire dal problema.
Una
volta rimosso lo spettro della cronica patologizzazione, la famiglia
si vedrà riconosciuta la possibilità di “auto guarirsi”. Ciò
alimenterà un circolo virtuoso per cui, superata una crisi, il
sistema familiare si sentirà in grado di superarne altre.
In
questo modo non è difficile immaginare un guadagno socio-sanitario
anche di tipo economico, poiché una sinergia di interventi riduce i
tempi di cura e il numero di personale coinvolto interrompendo il
circolo della cronicità. E inoltre il cambiamento effettuato e
l’apprendimento nuovo che ne deriva riducono la probabilità di
ricadute.
Il
progetto di lavorare in rete ha avuto queste finalità: aumentare il
benessere dell’utenza attraverso ipotesi e strategie di intervento
ragionate e aspettative di salute realistiche, creare modalità
comunicative efficaci e autotrasformative tra i curanti per uscire
dall’idea di assistenza, lavorare più nella direzione della
prevenzione che esclusivamente della cura. Del resto nel caso dei
servizi di NPI i bambini o gli adolescenti di oggi saranno gli adulti
di domani e rispondere al disagio in tempi sempre più brevi e
anticipati riduce il rischio dell’espressione di disturbi di
personalità da adulti.
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