lunedì 19 febbraio 2018

Kurt Cobain: storia della voce di un’infanzia infelice

di Giuseppe Roberto Troisi, psicologo psicoterapeuta. 


Un Bambino vivace
20 febbraio 1967 ad Aberdeen (stato di Washington -USA). Kurt Cobain nasce in pieno boom economico in una cittadina in crescita nell’industria del legname, nel profondo nord della costa del pacifico. La madre riferisce di essersi sposata senza particolare convinzione, giusto per “lasciarsi i problemi alle spalle!”. Kurt è il primo figlio, nonché primo nipote della sua famiglia: “era un bambino magnetico” dice orgogliosa la mamma.
In effetti i video amatoriali della prima infanzia di Kurt mostrano un bel bambino vivace e intelligente. Ama disegnare e i suoi disegni sono formalmente corretti e adeguati alla sua età, vivaci nei colori. Sapeva intere battute della sua trasmissione preferita. Insomma un quadro ben lontano da quella di un bambino con Disturbo da Deficit dell’Attenzione.
La madre intende fare un altro figlio e pensa che “deve far calmare un po’ questo bambino”. Così lo porta dal pediatra il quale lo sottopone al “test dei movimenti oculari” con la torcia e dichiara: abbiamo un problema!” e prescrive il Ritalin al piccolo Kurt.

Il Ritalin: una pillola per ogni problema
Si rimane sgomenti ad ascoltare una descrizione così infelice di una “diagnosi” complessa e pesante e la facilità con cui viene somministrato uno psicofarmaco tanto potente in età pediatrica.
La madre descrive il piccolo come “impazzito” ogni volta che la sera gli somministrava il farmaco, in realtà un potente eccitante. Quanto questo possa aver influito sulla vita di questo bambino non lo possiamo sapere. Tuttavia, in un’intervista Kurt dichiara che con quell’esperienza ha imparato che le emozioni potevano essere regolate con i farmaci e che quindi tanto valeva prendere l’antidolorifico più potente e divertente: l’eroina! Questa sarà la sua compagna per il resto della sua vita.
Nessuno invece sembra interessarsi dello sviluppo di questo intelligente e bel bambino: “Il padre prendeva in giro e umiliava il figlio!” dice la madre. Intervistato a sua volta, questi ammette di aver fatto molti sbagli col figlio. Una delle prime frasi che Kurt scrive sul muro di casa è "my mum hates my dad and my dad hates my mum”. All’età di 9 anni la mamma decide di divorziare!

Senza famiglia: vivere la solitudine
La reazione di Kurt è di ribellarsi: la madre contrasta il figlio finché un giorno decide di portarlo dal padre. Nessuna domanda sulla sua ribellione, sofferenza o necessità di dare un senso a questa esperienza. Come un pacchetto viene “lasciato” (“scaricato” dirà lui in seguito) dal padre che, nel frattempo, dopo aver promesso di stare sempre solo con lui, si era risposato con una donna madre di altri figli. Un’altra delusione. Nella famiglia ricomposta, Kurt non riesce a trovare un proprio spazio. La sua ribellione continua inascoltata finché inizia a richiudersi nella propria stanza, in compagnia della sola chitarra.
Inizia un periodo in cui Kurt gira da una casa all’altra: nonni, zii, di nuovo il padre, poi la madre “dopo un paio di settimane tutti volevano cacciarlo!” dichiarerà la compagna del padre, poi aggiunge: “in realtà lui sembrava volere solo la madre!”
I suoi diari con scritti e disegni sono estremamente chiari su questa sua sofferenza. Kurt sente che tutta la famiglia lo rifiuta. A 14 anni il padre definitivamente “lo scarica davanti casa della madre” (parole di Kurt). In quel periodo inizia a consumare marijuana grazie alla quale “si interrompono le sue crisi di nervi!”
Kurt definisce quel periodo “il culmine dell’abuso mentale da parte di mia madre”.


Scacciare il dolore del trauma
Insieme agli amici inizia a fare consumo di superalcolici. Compaiono i pensieri suicidi. Un episodio sembra cruciale ed emblematico: Kurt insieme agli amici frequentava una ragazza con un ritardo mentale a cui rubavano gli alcolici. Un giorno va da lei e le propone di fare sesso, lei inizia a spogliarsi e lui le chiede se lo aveva già fatto. “Si, numerose volte con mio cugino!”
L’ammissione della ragazza lo fa stare male: sente l’odore della sua pelle e “della sua vagina” e scappa da quella casa. Tuttavia nei giorni successivi gli amici iniziano a far girare pettegolezzi su di lui e questa ragazzina e diventa oggetto di scherno e umiliazione. Deluso da tutti si siede sui binari del treno delle 23 aspettando di morire; fortunatamente sbaglia binario e il treno passa accanto (Kurt sostiene che il treno aveva preso uno scambio diverso dal solito). Lo usa come momento per cercare di rimettersi in piedi anche se il suo senso di odio, vergogna e solitudine non si placa, inascoltato. “Ero introverso, solitario” “Mi sentivo così diverso e folle che la gente mi evitava!” scrive.


Dal Punk-Rock al Grunge: esprimere le emozioni con la musica
E’ così che incontra il punk-rock che riesce a interpretare, raccontare ed esprimere i suoi sentimenti inespressi. Mette su una band e suonavano tutti i giorni un paio d’ore dovunque capitava, anche in piccoli garage, come dichiara Krist Novoselic, amico e compagno di band.
In una di questi “concerti” incontra Tracy Marander che se ne innamora e lei lo “alleva” come fidanzato e come figlio. Diventa un punto di riferimento, una risorsa emotiva e relazionale. Crede in lui e gli fornisce calore, una casa e fiducia nelle sue possibilità musicali: “Non aveva difficoltà ad accettare l’amore, ma aveva paura di restare ferito!”
Queste brevi frasi sembrano dirci più del DSM 5 (manuale di psichiatria): odio, vergogna, paura sembrano essere le emozioni chiave per descrivere la vita emotiva del giovane Kurt.
La parola vergogna (shame) ricorre spesso nelle sue canzoni insieme a paura (scare) come nel pezzo "Floyd the barber"

Dice Loredana Lubrano (cantante e vocal coatch) riguardo la modalità di emissione nella parola “Shame” di questa canzone: “Ogni ‘messa in voce’ sembra che parta come un sospiro e poi si evolve in un lungo urlo squarciante. C’è una drammaticità viscerale in ogni “Shame”: sembra infatti che questa parola diventi urlo solo dopo aver attraversato tutto il corpo, partendo dalle viscere fino all’apparato vocale. Dal respiro all’urlo. La costrizione che l’aria incontra in laringe e nel vocal tract sembra non muti mai ad ogni ripetizione del testo, nel rispetto e nella coerenza con il suo significato e cioè quello della “vergogna”.
Anche nei suoi diari la rabbia esplosiva e splatter emerge in modo imponente, così come alcuni tratti persecutori, per esempio i riferimenti a neonati che diventano assassini dei genitori: “your parents are afraid of you”. Non a caso nella copertina di “Nevermind” compare un neonato immerso nell’acqua. L’ossessione per la nascita ritorna nuovamente con il titolo del terzo album “In Utero”.
Colpiscono alcune frasi sul suo diario scritte in modo estremamente meticoloso e chiaro, al contrario di altre parti completamente caotiche:
  • il punk rock significa libertà
  • sono pienamente cosciente della sincerità della mia voce
  • amo i miei genitori ma non accetto ciò che essi rappresentano
  • le mie emozioni sono influenzate dalla musica
  • uso pezzi della personalità degli altri per formare la mia
  • sono minacciato dal ridicolo

Sono pienamente cosciente della sincerità della mia voce!”: ascoltare il trauma
Come non concordare con questa breve ma definitiva affermazione: Cobain suona e canta e quando canta usa tutto il corpo per esprimere un disagio antico e inascoltato, che oggi potremmo definire “disturbo traumatico dello sviluppo” (Van der Kolk, 2015).
Storie infantili con uno sviluppo traumatico interferiscono con le funzioni integratrici di memoria e coscienza per arrivare a manifestare sintomi dissociativi (Liotti e Farina, 2011).
Laver subito, durante linfanzia, esperienze relazionali traumatiche altera la formazione dei neuroni specchio; ciò significa alterare la capacità d’integrazione interpersonale, ovvero, le sue capacità di vivere le relazioni in modo stabile e continuativo.
Le esperienze di insicurezza, umiliazione, oscillazione dell’umore da parte della persona di attaccamento primario (la madre e il padre) tendono a sviluppare il cosiddetto “atteggiamento conservativo”, cioè la tendenza a interpretare le situazioni neutre come situazioni potenzialmente pericolose da cui bisogna difendersi. In qualsiasi modo. Magari con delle pistole come in “Come as you are” dove il ritornello “memoria, memoria, memoria” sembra alludere a qualcosa che non si riesce a dimenticare e che ritorna continuamente alla mente, nonostante gli sforzi per farlo (il flashback).

Le memorie traumatiche infatti restano come congelate, impossibili da integrare. La Teoria polivagale di Porges spiega come i traumi ripetuti, la presenza costante della minaccia di abbandono, attiva continuamente i sistemi dei gangli di base connessi alle reazioni del sistema nervoso autonomo e questa iperattivazione continua impedisce, di fatto, l’integrazione delle relazioni, delle immagini e dei ricordi; questi riemergono così sotto forma di sensazioni corporee, suoni, movimenti e immagini intrusive, impossibili da controllare.
La vita rimane scissa, divisa fra la parte che tenta di adattarsi e andare avanti e quella terrorizzata, minacciata, inadeguata, che cerca solo di proteggersi con l’attacco, la fuga o il congelamento. Quando lo stimolo esterno o interno riattiva il senso di minaccia il corpo si dissocia.

La voce del trauma
Cosa possiamo trovare di tutto questo nella voce e nella musica dei Nirvana, ovvero di Kurt Cobain? Come definire il Grunge?
I brani sono spesso inizialmente oscuri, ipnotici, fatti di strofe dove la voce appare sofferta, per poi sfociare in rabbiosi ritornelli urlati. La tradizionale forma-canzone "strofa-ritornello-strofa" (tra l'altro omaggiata/criticata spesso dal leader dei Nirvana Kurt Cobain) è assunta a schema privilegiato di un genere che punta direttamente al sodo, eliminando troppi fronzoli e tecnicismi.” (tratto da wikipedia)
Osservare i concerti dei Nirvana significa osservare salti continui, sul piano musicale e vocale. Le chitarre spezzate si accompagnano a momenti quasi intimistici. Dove sta il ragazzo timido, osservando la star che suona in modo energico, intrattenendo folle di adolescenti che si spingono e saltano uno addosso all’altro?
C’è una famosa scena, che non a caso apre il bellissimo docufilm “Cobain” diretto da Brett Morgen, in cui Kurt sale sul palco spinto su una carrozzella, si alza e poi casca, come se veramente fosse un paraplegico e rimane disteso come morto. L’inquadratura dall’alto lo mostra come il cadavere nella scena di un delitto.

La vergogna e l’odio sembrano le emozioni che accompagnano costantemente l’infanzia e l’adolescenza di Kurt.
Il Trauma Complesso comporta una continua oscillazione fra il tentativo di nascondere i (presunti) motivi di cui ci si vergogna e la difficoltà a credere nelle proprie risorse anche quando queste sono presenti e palesi.
La sorella dichiara: “Il cervello di Kurt era sempre in funzione. Pensava sempre a qualcosa.”
La mamma: “Forse faceva fatica ad accettare i complimenti”; “il suo obiettivo era essere il più perfetto possibile”, in tutto. Un perfezionista deluso di sè stesso, alla ricerca di accettazione ma diffidente verso l’accoglienza e l’amore (come accadrà con la moglie).
La madre di Kurt fu profetica quando, dopo aver sentito il master di “nervermind”, avverte il figlio: “mettiti le cinture perché tu non sei pronto a questo”, alludendo che la genialità del musicista non era supportata dalla capacità emotiva di sostenerla.
La breve ma intensissima storia d’amore con Courtney Love, di cui nel film sono presenti numerosi video familiari, esprime bene questa difficoltà nel reggere la stabilità relazionale, in un vissuto che non riesce a uscire dal dramma.
L’ultima apparizione in tv avvenne in Italia nella trasmissione della Dandini “Tunnel” (23/02/1994).

La voce esprime rabbia, ma anche senso di disgusto, quasi vomito. E’ una voce debole, poco sostenuta. I Nirvana sono a Roma e Cobain è accompagnato dalla moglie Courtney Love che sembra stanca degli sbalzi d’umore di Kurt. Sta pensando se lasciarlo e lui tenta un altro suicidio. Questa volta a salvarlo è proprio lei, ma solo per poco. Il 5 aprile a Seattle riesce a concludere la sua vita.

Si può superare il trauma?
In tutta questa storia non si trova mai un riferimento a una risposta alla sua continua richiesta d’aiuto. Non c’è mai un riferimento a uno psicoterapeuta: come se il dolore potesse trovare risposta solo nella chimica: droghe o farmaci che siano. Il misconoscimento del trauma sembra emergere all’improvviso nelle parole dell’amico e compagno di band, il bassista Krist Novoselic, che sgomento risponde al regista “era tutto scritto lì, nei suoi disegni: bastava guardare!”.
Appunto: perché sembra così difficile riconoscere i danni e la sofferenza del trauma? Perché un comportamento che esprime così tanta sofferenza viene così facilmente etichettata come irrecuperabile o come bizzarria caratteriale?
Non possiamo sapere cosa sarebbe successo se qualcuno avesse portato Kurt Cobain in psicoterapia. Soprattutto se nell’infanzia fosse stata data una risposta diversa da quella farmacologica prendendosi cura di una famiglia disorientata e confusa.
La richieste di cura merita sempre di essere ascoltata anche da parte di chi, come gli artisti, nell’arte trova un meraviglioso sfogo espressivo, ma non l’uscita dal disagio. L’arte, qualunque arte, esprime emozioni e idee, da sollievo ma non basta per curare il dolore. Anche gli artisti meritano di vivere più felici e quando chiedono aiuto hanno diritto che gli venga fornito.


Bibliografia e filmografia di riferimento

“Cobain: montage of Heck” Film montato e diretto da Brett Morgen
Van der Kolk (2015) Il corpo accusa il colpo MIlano Cortina
Liotti, Farina (2011) Dimensione dissociativa e trauma dello sviluppo Cognitivismo clinico
Cancrini L. (2013) La cura delle infanzie infelici Cortina Milano
Porges S.W. (2014) La Teoria Polivagale: fondamenti neurofisiologici delle emozioni, dellattaccamento, della comunicazione e dellautoregolazione. Roma: Fioriti Editore,
Troisi G.R. (2014). L’uso del corpo in psicoterapia: applicazioni cliniche e prospettive di ricerca fra corpo, emozioni, relazioni e narrazione. http://www.academia.edu/11336144/
Troisi G.R. (2016) La voce la memoria corporea e la relazione in psicoterapia Terapia Familiare, n. 111 Milano: Franco Angeli
Troisi G. R. (2016), Le voci di dentro: trauma, voce e sistemi relazionali interni in Rivista di psicoterapia relazionale n.44 Milano: Franco Angeli


Nessun commento:

Posta un commento