mercoledì 7 febbraio 2018

Lavorare con la coppia

di Francesca Bravi, psicologa psicoterapeuta.


Purtroppo è ancora opinione diffusa che il Modello Sistemico-Relazionale sia valido solo per la terapia con le famiglie. Niente di più sbagliato. Piuttosto è vero il contrario: uno dei motivi per cui prediligere questo approccio rispetto agli altri risiede proprio nella sua straordinaria flessibilità.
Pensare in modo Sistemico significa rilevare collegamenti e mettere in relazione informazioni per costruire una chiara visione d’insieme come base su cui lavorare. I diversi studi condotti negli ultimi 70 anni testimoniano come questa attitudine permetta di affrontare i problemi in modo estremamente efficace, a prescindere dal fatto che si abbia di fronte una famiglia, una coppia o un individuo.
Poniamo, ad esempio, il caso di una terapia di coppia con due persone che abbiano deciso di sposarsi all’età di 20 anni. Banalmente, questa scelta assume connotazioni assai diverse se la moglie racconta di avere alle spalle una famiglia problematica e violenta o un’infanzia agiata, trascorsa fra persone affettuose e protettive.
Analogamente, considerare l’influenza esercitata dalla suocera invadente e criticante, magari con accesso alla casa dei coniugi perché munita di chiavi, è parte irrinunciabile del processo di analisi dei motivi soggiacenti al disagio presentato dalla coppia.
Cogliere questi collegamenti amplifica esponenzialmente la nostra capacità di intervento, perché è proprio su questi collegamenti che possiamo costruire un’appropriata comprensione del problema ed agire in senso risolutivo.
Avere un’approfondita visione d’insieme permette di costruire interventi di straordinaria efficacia, capaci di provocare grandi cambiamenti e abbreviare significativamente i tempi necessari alla risoluzione del problema. Per una terapia di coppia, ad esempio, bastano 10- 12 sedute.

Ne deriva una pratica clinica tanto flessibile quanto potente, che vede nell’arte di “porre in relazione i vari aspetti” la più produttiva commistione fra processi di cura, propri del sapere medico, e quelli di conoscenza, propri del sapere filosofico, capace di dominare pienamente un ambito di studio tanto complesso come quello dell’agire umano.

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