lunedì 30 marzo 2020

Oltre il coronavirus: l'influenza sociale contro il contagio della paura


a cura di Barbara Bertelli, didatta CSAPR


Gli effetti della diffusione del COVID-19 sulla collettività richiamano per associazione quelli del trauma.
Un simile confronto offre numerosi spunti di riflessione: dal tentativo di individuare i punti di contatto e quelli di divergenza tra i due fenomeni, ai meccanismi di difesa che entrano in gioco a seconda dei casi...
Forse a causa di un comprensibile "bisogno di consolazione" la memoria mi è corsa in soccorso, selezionando un'informazione "salvagente", datata, ma attuale ed utile.
In Guarire dal trauma J. L. Herman (1992) ripercorre la storia singolare degli studi sul trauma psichico e cita A. Kardiner, H. Spiegel, R. Grinker, J. Spiegel, psichiatri americani alle prese con le nevrosi da combattimento dei veterani di guerra. Nel 1947, Kardiner e colleghi sostennero che "la più forte protezione contro un terrore soverchiante era il grado di relazione tra il soldato, la sua diretta unità di combattimento e il loro leader".
La realtà bellica precede e conferma la realtà empirica: in situazioni di incertezza, in cui mancano punti di riferimento precisi e strutturati, l'individuo si sente perso e subisce più facilmente l'influenza degli altri (Sherif, 1967). I membri del gruppo gli forniscono le informazioni e gli elementi che gli consentono di avere delle coordinate entro cui agire ed interagire in un territorio poco conosciuto, radicandosi a delle certezze che, appunto perché frutto della condivisione e della negoziazione, sono motivo di rassicurazione.
In altre parole, quando una persona prova un sentimento di incertezza o di dubbio (che la realtà dominante era smarrita!), condividere il comportamento con altri la aiuta a costruirsi una visione stabile del mondo circostante. Tanto più la situazione in cui l'individuo si trova è ambigua e precaria tanto più egli ha bisogno di un ancoraggio sicuro, di un supporto sociale.
Si inserisce in questa ottica anche la teorizzazione di Tajfel (1978) rispetto alla categorizzazione sociale che egli definisce come "un sistema di orientamento che, ordinando l'ambiente sociale secondo raggruppamenti di persone, definisce lo specifico posto che ognuno occupa nella società". Tutte le strade portano a Berger e Luckmann e alla loro realtà come costruzione sociale.
Ma torniamo ai nostri commilitoni e agli studi sul trauma: la situazione di pericolo costante conduceva i soldati a sviluppare un'estrema dipendenza emotiva dal gruppo dei commilitoni e dal leader.
Se è intuitivo che il legame tra commilitoni abbia funzionato come rete di salvataggio, colpisce l'enfasi posta sulla relazione solidale tra commilitoni e leader.
Inevitabile la trasposizione - per lo meno in veste ipotetica - di quanto verificato sui campi di battaglia in contesti relazionali a noi più familiari e drammaticamente sollecitati nei giorni di pandemia: figli e genitore, popolo e istituzioni (politiche e mediche), pazienti e terapeuta...

Ultima riflessione: il COVID-2019 ha compromesso la consueta possibilità di scambi interpersonali, ma ha favorito il ricorso a quelli web-mediati. L'online diventa una valida risorsa, uno strumento indispensabile per mantenere e, se possibile, rinsaldare quel legame umano che rappresenta la più sicura protezione contro il crollo emotivo personale.
In sostanza: facere de necessitate virtutem... per lo meno fino al tanto atteso: "Rompete le righe!!"

1 commento:

  1. Scritto bene, riferimenti colti,contenuto condivisibile. Servono leader e non capi.

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